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La disciplina legislativa anteriore al D.Lgs. 24/2002

  1. La garanzia per l’evizione e i vizi della cosa compravenduta

Tanto il codice del 1942, quanto quelli dell’area franco – tedesca[1] si sono sostanzialmente ispirati in materia di regolamentazione delle garan­zie per difetti materiali allo ius honorarium dei magistrati edili i quali, at­traverso il noto Editto poi trasfuso nel Digesto[2], conferirono all’acqui­rente di schiavi e animali affetti da vizi occulti la redhibitio o, in alternati­va, l’actio aestimatoria[3].

Dunque, solo attraverso l’attività creativa della giurisprudenza edilizia, cui competeva la cura annonae, trasse origine quale effetto naturale del rapporto negoziale di scambio la responsabilità oggettiva per vizi occulti del venditore di tali cose, anche in assenza di espresse stipulationes di garanzia.

Con la riforma giustinianea il regime delle azioni edilizie fu poi esteso ad ogni tipo di merce.

Il comune conio che connota su questo versante i principali sistemi dell’Europa continentale permette di comprendere le ragioni della man­cata attribuzione al compratore dei diritti legali alla riparazione o sostitu­zione del bene difettoso[4].

Vale a dire, le azioni edilizie rappresentava­no ab origine i rimedi processuali a disposizione dell’acquirente romano di cose che per loro natura non erano materialmente suscettibili d’inter­venti di manipolazione volti alla restitutio in integrum; questo retaggio si riverberò prima sul code civil, poi sul BGB ed infine sul codice italiano, sebbene già a partire dalla riforma giustinianea si assistette all’estensione della disciplina in parola ben al di là dell’originario campo di competenza dell’Editto[5].

Il regime delle garanzie, modellato su schemi risalenti al diritto roma­no classico ed originariamente predisposti per la vendita di species, era incentrato sulla nozione di vizio redibitorio, che ricorre quan­do il difetto pregiudica in misura apprezzabile la funzione o il valore della cosa, e sul sistema delle azioni edilizie, con conseguente diritto del com­pratore ai soli rimedi della riduzione del prezzo o della risoluzione del contratto[6].

Le regole legali riguardavano la vendita quale semplice scam­bio tra privati, senza tener conto delle caratteristiche dei beni, delle qua­lità dei soggetti coinvolti nella negoziazione, e rivelandosi inadeguate alla complessità dei rapporti che si svolgono nella moderna società dei consu­mi.

Prima del recepimento della direttiva 1999/44/CE che ha introdotto il concetto unitario, ampio, e omnicomprensivo di difetto di conformità al contratto, il quale sebbene già presente nella Convenzione di Vienna ( art. 35) dell’11 aprile 1980 sui contratti di vendita internazionali di beni mobili, resa esecutiva in Italia con legge 11 dicembre 1985, n. 765, entrata in vigore il 1° gennaio 1988 ( che ha per molti versi rappresentato il modello cui si sono ispirati gli organi comunitari nell’emanare la direttiva 1999/44), e ancor prima, dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1964, il sistema giuridico italiano era imperniato, in materia di compravendita, sulla distinzione fra vizi materiali ( art. 1490 c.c.), mancanza di qualità ( essenziali o promesse) (art 1497 c.c.), difetto di funzionamento ( art. 1512 c.c.) e aliud pro alio (categoria quest’ultima di creazione meramente giurisprudenziale), distinzione che limitatamente alla vendita di beni di consumo, sembra essere così stata superata.

Pertanto  fra le obbligazioni principali del venditore, il legislatore indica quella di garantire il compratore dai vizi della cosa venduta (art. 1476 c.c., n.3).

Il comma 1° dell’art. 1490 c.c. precisa che “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.

Ritornando alla garanzia per vizi a carico del venditore, bisogna rilevare come la natura giuridica di questa garanzia abbia dato luogo a diverse teorie, soprattutto per la difficoltà di ricondurre al mero inadempimento di un’obbligazione contrattuale una violazione collegata a cause preesistenti al contratto.

Per questo, alcuni autori hanno ricondotto l’istituto nell’ambito della presupposizione, altri a quello della responsabilità precontrattuale, altri ancora a quello dell’assicurazione contrattuale o dell’impugnativa per errore.

La garanzia sia quella per evizione e fattispecie assimilabili che quella per vizi strutturali della cosa di cui agli artt. 1490-1497 c.c. è un rimedio apprestato dall’ordinamento giuridico per eliminare nel contratto di vendita lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore.

Tale rimedio che è rafforzativo e non sostitutivo di quello a carattere generale previsto per i contratti in genere opera nei limiti del ripristino della situazione economica del compratore anteriore alla conclusione del contratto, anche in mancanza di colpa del venditore requisito che è necessario solo allorchè il compratore richieda il risarcimento integrale dei danni ( cioè comprensivo anche del c.d. interesse positivo) e in relazione al quale opera in tal caso la presunzione di cui all’art. 1218 c.c., avente carattere generale ed applicabile all’inadempimento contrattuale in genere[7].

L’evizione consiste dunque non tanto nello spossesamento dell’acquirente, quanto nella mancata attuazione dell’atto traslativo conseguente ad un fatto ( c.d. evizionale) che si manifesta dopo la conclusione del contratto, pur essendo ad essa preesistente[8].

Se  questa è l’ essenza del fenomeno è difficile trovare uno spazio al­l’ evizione rispetto alla discIplina contemplata dagli artt. 1478 ss. atteso che pur sempre si permane .nell’ area dell’ obbligo posto dalla legge a ca­rico del venditore dI garantire al compratore l acquisto del diritto.

Non a caso, del resto, l’art. 1483 richiama l’art. 1479, ponendo a carico del venditore l’obbligo risarcitorio (oltre al pagamento del valore dei frutti e delle spese sopportate dal compratore per la denunzia della lite) in caso di evizione totale della cosa per effetto di diritti che un terzo ha fatto valere- su di essa.

L’importanza dell’art. 1483 può peraltro ravvisarsi innanzi tutto in ciò, che la garanzia per evizione può essere fatta valere anche da un ac­quirente a conoscenza dell’ esistenza di diritti di terzi sulla cosa venduta[9].

Pertanto, il diritto al risarcimento del danno è subordinato alla prova  del danno colpa o del dolo del venditore, secondo le regole generali. In ogni caso  il compratore può risolvere il contratto ex art. 1479.

La garanzia per evizione non opera (e qnind1 non v’è diritto al ri­sarcimento) se il compratore, con il proprio comportamento, ha dato causa alla perdita del bene acquistato.

Queste regole sono applicabili anche in caso di evizione parziale, che si configura quando il compratore subisce la rivendicazione o la espro­priazione limitatamente ad una parte del bene[10].

In tal caso egli può agire per la risoluzione del contratto con risarcimento del danno o per la riduzione del prezzo, trovando applicazione  l’art. 1480 ed inoltre può ottenere il rimborso del valore del frutti re­stituiti al terzo e delle spese di lite di cui all’ art. 1483 comma 2.

Distinta da quella parziale è la c.d. evizione limitativa prevista dall’art. 1489. In tal caso la cosa venduta è gravata da oneri-o da diritti reali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati in contratto.

La diversità rispetto all’ evizione parziale è in che questa incide quantitativamente perchè comporta il mancato acquisto di una parte del bene, l’evizione limitativa incide invece sul piano qualitativo perché il diritto acquistato non può essere esercitato in tutta la sua potenziale espansione.

Si parla poi di evizione invertita quando il compratore acquista il Evizione bene direttamente dal terzo che potrebbe agire in rivendica. In tal caso il precedente contratto di compravendita resta inadempiuto e il prezzo pagato dal compratore può costituire il termine di riferimento per la mi­sura del risarcimento dei danni.

Naturalmente il compratore avrà inol­tre diritto alla restituzione dell’intero prezzo a suo tempo versato, che può anche essere piu alto di quello pagato per la seconda compraven­dita[11].

Da quanto detto deduciamo che la garanzia per evizione è un effetto naturale del contratto, previsto da norme dispositive, derogabili dalla volontà delle parti, nel senso di aggravare, diminuire o escludere le conseguenze che da essa derivano[12], ad esempio pattuendo che la garanzia è invocabile nel mo­mento stesso in cui il compratore è convenuto in giudizio da un terzo in rivendica ovvero pattuendo l’esonero o una limitazione dell’obbligo risarcitorio e di quello relativo ai frutti previsto dall’art. 1483 comma 2..

Se è esclusa la garanzia non si applicano gli artt. 1479 e 1480. Se si verifica l’evizione il compratore può pretendere pertanto solo la restitu­zione del prezzo pagato e il rimborso delle spese, salvo che il contratto sia stato concluso a suo rischio e pericolo[13] (art. 1488 comma 1 e 2). Si tratta, in que­st’ultimo caso, di una compravendita a parziale carattere aleatorio.

La legge disciplina anche l’ipotesi di pericolo di evizione. Se il com­pratore ha ragione di temere che la cosa o parte di essa possa essere ri­vendicata da terzi, può sospendere il pagamento del prezzo, salvo che il venditore presti idonea garanzia e salvo che conoscesse il pericolo al momento della conclusione del contratto.

La sospensione però  è legittima solo in presenza di un pericolo effettivo  e non già putativo[14]  come nel caso di un giudizio in corso, di una diffida, di un sequestro, dell’inizio di un’ azione revocatoria.

Più in generale si ritiene che la sospensione non può essere contraria a buona fede ed in effetti può ravvisarsi una identità di ratio con l’art. 1460[15] .

La sospensione può essere effettuata anche dal compratore che noni conosceva, al momento della conclusione, l’esistenza di garanzie reali o di vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro non dichiarati dal venditore (art. 1482).

Il compratore può inoltre far fissare dal giudice un termine, trascorso il quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risolto con l’obbligo del venditore di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1479.

Se però l’esistenza delle garanzie reali e dei vincoli era nota al com­pratore, questi non può chiedere la risoluzione e il venditore è tenuto verso di lui solo per il caso di evizione.

 La prevalente dottrina poi e la giurisprudenza[16]  ravvisano nella garanzia per vizi lo stesso fondamento della garanzia per evizione, id est una violazione dell’impegno traslativo, considerato comprensivo anche dell’obbligo del venditore di verificare che il bene trasferito abbia i requisiti necessari per la sua utilizzazione ed è un’obbligazione relativa alla responsabilità contrattuale del venditore.

I vizi devono essere di tale natura da rendere la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata, o da diminuire in modo apprezzabile il valore.

Tra le due ipotesi previste dall’art. 1490 c.c. vi è una netta distinzione: la prima si riferisce a difetti strutturali, mentre la seconda comprende quelle deficienze che rendono la cosa soltanto meno idonea all’uso cui è destinata.

Nel primo caso rientra l’ipotesi di un motore costruito male che non riesce a funzionare, mentre nella seconda ipotesi si è fatto l’esempio di  un monile d’oro marcato a 18 carati che, in un secondo momento, risulti di un titolo minore (o, addirittura, di metallo diverso: in tal caso si può ravvisare la c.d. consegna di aliud pro alio).

I vizi, inoltre, devono essere occulti; in caso contrario, ai sensi dell’art. 1491 c.c., qualora al momento della conclusione del contratto il compratore avesse conosciuto i vizi oppure se i vizi fossero stati facilmente riconoscibili, la garanzia non è dovuta.

In terzo luogo, secondo la dottrina prevalente, deve trattarsi di vizi materiali della cosa, perché i vizi relativi alla condizione giuridica rientrano nella disciplina dell’evizione. I vizi, infine, devono essere preesistenti alla vendita o quantomeno devono derivare da preesistenti cause.

Oltre all’esclusione legale prevista dall’art. 1491 c.c. in relazione ai vizi non occulti della cosa, è ammessa, anche in tema di vizi, una esclusione convenzionale della garanzia, ex art. 1490, comma II, c.c., che pone un solo limite: che il venditore abbia in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.

I vizi della cosa vanno distinti dall’ipotesi della vendita di aliud pro alio. La distinzione è di notevole importanza, dato che in caso di consegna di cosa diversa non si applica la normativa sui vizi o sulla mancanza di qualità, ma quella sull’azione generale di risoluzione; in particolar modo l’azione non è soggetta ai brevi termini di prescrizione e di decadenza ex art. 1495 c.c., ma alla prescrizione decennale, in base a quanto disposto dall’art. 2946 c.c.

Teoricamente, la differenza non presenta dubbi: parlare di una cosa che presenta vizi non equivale a parlare di una cosa di genere diverso rispetto a quella pattuita; sul piano pratico, invece, è meno facile accertare quando una cosa possa definirsi viziata ovvero diversa da quella oggetto del contratto.

La Cassazione, al fine di dirimere questo problema, ha fatto ricorso al concetto di funzione[17] , affermando che si ha consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa appartenga ad un genere del tutto dissimile da quello pattuito, ma anche quando difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale oppure a quella specifica funzione che le parti abbiano assunto quale essenziale.

Con questo criterio sono state considerate come diverse anche cose appartenenti allo stesso genere: terreni venduti come edificabili in zone dove sia stato vietato costruire; acqua non potabile venduta come potabile, ecc.

L’eccessiva rigidità della disciplina delle garanzie, la brevità dei termi­ni entro cui fruire della tutela, e l’impossibilità di ricondurre a tali schemi le complesse situazioni che si verificano nella pratica degli scambi com­merciali, hanno condotto ad un ripensamento dell’istituto in termini più ampi e generali.

Pertanto con la direttiva 1999/44CE  si supera quel l’equivoca separa­zione ideata dal codice del 1942 fra vizio materiale e mancanza delle qualità essenziali.

Tale forzata dicotomia, di per sé priva di un sicuro fondamento fattuale, è oltre tutto resa ancor più artificiosa dalla giuri­sprudenza, la quale non ha saputo districarsi dalle trame insidiose ordite dalle letture formalistiche dell’art. 1497 c.c.[18], che hanno impedito di misurare la fattispecie con la realtà naturalistica di riferimento così favo­rendo soluzioni frammentate e connotate dal trionfo del particolarismo giuridico.

Difatti, da questo punto di vista non è rintracciabile una rile­vante diversità di significati fra vizio corporale, imperfezione qualitativa e consegna di cosa diversa rispetto a quella pattuita[19].

Siffatta premessa avrebbe di riflesso dovuto suggerire l’uso di tecniche interpretative dell’art. 1497 c.c. ispirate al criterio razionale della natura delle cose, al fine di impedire le asistematiche storture tipiche di un diritto giurispruden­ziale la cui matrice positivista ha spesso legittimato dieta contrapposti pur a fronte di situazioni reali del tutto assimilabili[20].

Basti incidental­mente ricordare che è stata giudicata priva delle qualità essenziali la vendita di confetture non commestibili (sicché nella specie l’azione di ri­soluzione fu sottoposta al rispetto dei termini previsti dall’art. 1495 c.c.)[21], mentre in altra occasione l’alienazione di un animale da ingrasso colpito da malattia infettiva è stata ricondotta nella disciplina dell’ aliud pro alio, emancipata – in quanto tale – dall’osservanza dei brevi termini di decadenza e prescrizione[22].

Sennonché in entrambe le ipotesi i rap­porti negoziali avevano ad oggetto cose destinate allo sfruttamento ali­mentare, che è stato similmente vanificato a causa dell’accertata pato­logia.

Ebbene, tanto l’art. 2 della direttiva quanto l’art. 35 della convenzione di Vienna del 1980 hanno finalmente superato ogni cavilloso tentativo di scriminare all’interno dell’unitaria categoria dell’inesatto adempimento (o difetto di conformità), da un lato fra inesattezza afferente al processo di produzione e difetto incidente sulla sottospecie, dall’altro fra vizio strutturale e capacità della cosa ad assolvere alla sua destinazione «eco­nomico – sociale»[23].

  1. Rimedi e termini previsti per legge

La proposta di direttiva del 18 giugno 1996[24] riconosceva al consu­matore il diritto di scelta del rimedio esperibile in caso di difetto di conformità[25].

Sia la pretesa all’esatto adempimento, quanto le azioni edilizie erano pertanto graduate ad un livello di completa parità.

Tutta­via questo sistema fu sottoposto a critiche che trovarono ampio eco an­che all’interno del comitato economico e sociale[26], giacché avrebbe esposto la grande impresa al rischio di subire l’effetto negativo della re­stituzione del prezzo o della diminuzione del corrispettivo, conseguente all’esercizio irragionevole da parte dei consumatori dei rimedi forgiati dallo ius edicendi[27].

Il prospettato timore  avrebbe inevitabilmente ridotto le aspettative di profitto delle società di produzione e distribuzione a causa dell’obbligazione restituto­ria nascente dall’accoglimento delle azioni redibitoria o estimatoria[28].

La soluzione di compromesso diede origine alla versione definitiva dell’art. 3 della direttiva, che ha introdotto la si­stemazione gerarchica dei rimedi per effetto della quale solo nell’ipotesi in cui l’esatto adempimento si riveli impossibile o sproporzionato il compratore è legittimato a promuovere le azioni di risoluzione del con­tratto (qualora il difetto di conformità sia rilevante), oppure di riduzione del prezzo.

Sembrerebbe dunque che la direttiva stessa abbia a prima vista raffor­zato il livello di tutela dell’acquirente finale di beni di massa, ponendo a sua disposizione un ulteriore strumento di salvaguardia rispetto a quelli ideati dall’attività creativa della giurisprudenza romana al di fuori dello ius civile[29].

Ma in realtà la ratio dell’innovazione va ricercata nell’obiet­tivo perseguito dal legislatore comunitario di restringere l’autonomia del consumatore per quanto attiene alla libertà di scelta dei mezzi processua­li attraverso l’imposizione della Naturalrestitution (o Naturalherstellung), i cui connotati di pregiudizialità fanno ora degradare le azioni edilizie al ruolo di rimedi meramente residuali[30].

Non pare pertanto condivisibile l’affermazione a tenore della quale la direttiva n. 44 del 1999, nonostante le declamazioni di principio con tono enfatico espresse dal primo «consi­derando», avrebbe effettivamente creato un surplus di protezione a van­taggio dei consumatori[31], in quanto non si può escludere che la nuova disciplina sulle garanzie legali, sostanzialmente ispirata al favor contraetus, generi addirittura l’effetto di porre in corto circuito l’esigenza di tute­la della parte debole là dove, di fatto, la natura del vizio pur astratta­mente emendabile abbia distrutto l’affidamento riposto dal comune contraente sulle capacità professionali del produttore o del rivendito­re[32].

Ciò dimostra la natura aprioristica dell’argomentazione secondo cui il risarcimento in forma specifica protegge in ogni circostanza l’interesse del compratore finale a disporre di un bene privo d’imperfezioni, perché non tiene conto di eventuali episodi d’inesatto adempimento contrasse­gnati da vizi di entità tale da indurlo viceversa a promuovere la risolu­zione del rapporto essendo irrimediabilmente venuta meno la fiducia sull’idoneità all’uso del bene trasferito o sulle capacità del «professioni­sta»[33].

Ed è per questo determinante motivo che un’accreditata dot­trina nega al venditore la facoltà di esperire il rimedio conservativo pre­visto dal già citato art. 48 della convenzione di Vienna nel caso in cui il difetto riscontrato pregiudichi obiettivamente l’evocato profilo fiducia­rio[34].

A questo punto s’impone il dilemma riguardo all’ammissibilità, in se­de di attuazione della direttiva, dell’adozione di soluzioni capaci di pre­servare il delineato affidamento, senza per questa ragione scardinare la fi­nalità di armonizzazione del diritto europeo divisa dalla norma comu­nitaria in materia di garanzie nel campo della vendita di beni mobili di massa.

Ebbene, tenuto conto che l’art. 8, c.p.v., della direttiva legittima gli stati dell’unione a adottare regole più severe al fine di fortificare la posi­zione giuridica del consumatore, sembrerebbe allora auspicabile l’intro­duzione di una norma di salvaguardia la quale, facendo saltare il tratteg­giato rapporto di pregiudizialità, autorizzi l’immediato esercizio dei rime­di processuali tradizionali allorché il difetto, pur in astratto riparabile, sia talmente serio da incidere sull’aspettativa di affidabilità della merce ab origine riposta dal consumatore[35].

L’art. 3, comma 3°, parte terza, della direttiva stabilisce che gli inter­venti di riparazione o sostituzione devono essere effettuati «entro un las­so di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumato­re, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il con­sumatore ha voluto il bene».

L’impiego degli enunciati criteri elastici di valutazione si spiega in considerazione della volontà del legislatore co­munitario, il quale sul punto si è inserito nel solco in precedenza scavato dalla convenzione di Vienna, di commisurare l’accertamento della cele­rità della prestazione di esatto adempimento alla luce delle circostanze emergenti dal singolo episodio litigioso. A questo riguardo la casistica te­desca testimonia che l’interprete s’imbatte contro particolari nodi esege­tici là dove il venditore, in séguito al fallimento dell’iniziale (tempestivo) tentativo di riparazione, pretenda di rinnovarlo in maniera da precludere all’altra parte il ricorso ai rimedi edilizi[36].

La soluzione adottata sul punto dal BGH – e presa a modello dalla disposizione qui discussa – è in­dirizzata ad accertare se l’eventuale rifiuto opposto dal compratore alla reiterazione del ripristino sia o no conforme alla clausola generale di buona fede; in linea di principio è tollerata un’unica ripeti­zione della prestazione di esatto adempimento, a meno che dalla realtà fattuale emergano elementi destinati a giustificare sul piano equitativo il terzo tentativo, come ad esempio si verifica allorché l’alienante in vista della restitutio in integrum abbia dovuto fronteggiare problemi tecnici di rilevante complessità, ovvero sostenere ingenti spese[37].

  1. La garanzia di buon funzionamento e la carenza di qualità o condizioni nella vendita di cose mobili. Relativi strumenti risolutivi

Diversa dalla garanzia per i vizi occulti o per mancanza di qualità (cd. garanzia legale) è la garanzia data dal venditore per il buon funzionamento della cosa venduta (cd. garanzia del venditore).

Si tratta di una garanzia ulteriore rispetto a quella legale e mira a rafforzare la tutela del compratore: essa opera pertanto in modo autonomo, indipendente e normalmente alternativo.

Pertanto il presupposto della garanzia legale risiede nella violazione della promessa contrattuale e nella inesatta attuazione del risultato da questa determinato[38] a causa di imperfezioni materiali e mancanza di qualità della “cosa venduta”.

In ordine alle imperfezioni materiali (definite dalla dottrina anche quali “vizi di fatto” del bene[39]) l’art. 1490 c.c. subordina il sorgere della garanzia all’esistenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, escludendosi che la mera inidoneità all’uso della cosa compravenduta costituisca vizio rilevante ai fini del sorgere della relativa responsabilità del venditore, ove non ne escluda in maniera apprezzabile la normale adeguatezza alla propria funzione, pur non rendendolo totalmente inutilizzabile[40].

Concettualmente, i vizi che rendono inutilizzabile il bene vengono definiti redibitori: la giurisprudenza di legittimità ha affermato che sono redibitori solo i vizi intrinseci alla cosa e che la rendano inutilizzabile per le finalità per le quali è stata acquistata[41].

In applicazione di questo principio si è escluso che sia dovuta la garanzia per i vizi ove il difettoso funzionamento sia attribuibile non al processo produttivo, bensì a cause esterne dipendenti da scelte errata del compratore, dai quali sia derivata l’inidoneità del prodotto a garantirne l’utilizzo in rapporto alle personali necessità di utilizzazione: in tal senso, è stato riconosciuto vizio redibitorio, secondo la previsione dell’art. 1490 c.c., anche l’anomalia che, pur non intaccando la funzionalità della cosa venduta, ne abbia diminuito in modo apprezzabile il valore di scambio[42].

Brevemente, ricordiamo che tale tipologia di vizio, nelle previsioni del legislatore del 1942, è stata distinta da altre fattispecie quali la vendita c.d. aliud pro alio[43] in quanto, identificandosi il vizio redibitorio nella presenza, nella res oggetto di trasferimento, di un difetto funzionale o strutturale che faccia pur tuttavia assumere al bene una particolare identità, assegnandone l’appartenenza al medesimo o ad un diverso genere merceologico oppure ad un tipo o ad una specie differenti nell’ambito dello stesso genus, si discosta nettamente dalla la c.d. vendita di aliud pro alio, ravvisabile ove il bene consegnato sia del tutto diverso da quello oggetto di previsione contrattuale, in quanto appartenente ad un genere merceologicamente distinto[44].

Tale classificazione[45] risulta di particolare rilievo in ordine alle due diverse azioni poste a tutela del compratore: rispettivamente, la redibitoria e la contrattuale. Nel caso di vendita aliud pro alio infatti, il compratore potrà esperire l’ordinaria azione di inadempimento contrattuale.
La direttiva 99/44/CE elimina -in nuce- la distinzione precedentemente prospettata.

Da ultimo, il vizio redibitorio viene altresì distinto, in dottrina e giurisprudenza[46], dalla mancanza di qualità essenziali o promesse ex art. 1497 c.c., consistenti né in un guasto né in un deperimento o in un “modo di essere patologico” della res, ma unicamente in un quid negativo che -talvolta- consiste semplicemente in una mancanza di pregi o di speciali perfezionamenti tecnici specificamente contemplati dai contraenti, ma che in termini generali è stato inteso[47] quale criterio cardine al fine di valutare l’adeguatezza del bene alla propria destinazione funzionale in ordine ad una utilizzazione che sia “normalmente soddisfacente”[48].

Anche tale istituto, unitamente alla previsione dell’esperimento dell’ordinaria azione di risoluzione concessa a tutela del compratore, sembra essere stato “stravolto” dalla direttiva 99/44/CE.

Accanto alla previsione di una c.d. “tutela minima legale” del compratore rispetto ai vizi o alla mancanza di qualità essenziali del bene compravenduto, il codice civile contiene la previsione di un’ulteriore tipologia di garanzia, avente fonte contrattuale e rubricata, ex art. 1512 “garanzia di buon funzionamento”.

Tralasciando l’approfondimento del dibattito dottrinale in ordine alla ricostruzione teorica dell’istituto[49], al fine di identificare i rapporti tra la previsione codicistica e la normativa comunitaria in esame -per l’identità parziale dei rimedi riconosciuti-, va sottolineato il contenuto della medesima garanzia, caratterizzata dal potere, riconosciuto al compratore, di richiedere la sostituzione o la riparazione del bene ad opera del venditore ove la res risulti carente delle qualità promesse o comunque si presenti inidonea al funzionamento[50].

La scelta tra i due rimedi viene rimessa al venditore che, in caso di inottemperanza, potrà essere chiamato in giudizio per la risoluzione contrattuale o la riduzione del prezzo[51].

La presenza di tale ulteriore garanzia e l’esperibilità dei relativi rimedi, sino ad oggi subordinata all’autonomia contrattuale delle parti -rectius, alla concessione della medesima da parte del venditore-, viene riconosciuta dal legislatore comunitario indirettamente obbligatoria in ordine ad ogni contratto di vendita di beni di consumo tra professionista e consumatore-acquirente, prevedendo un suo contenuto minimo necessario ed una “gradazione” di rimedi esperibili dal compratore, che ne rafforzano la relativa posizione contrattuale.

In tal modo dunque si è operata una differenziazione, anche nel particolare settore delle vendite di beni di consumo, tra acquirente-consumatore ed acquirente-non consumatore, attuando una duplicazione di disciplina già operata in sede di attuazione e recepimento della direttiva 93/13/Cee sui contratti del consumatore.

Inevitabilmente, il recepimento della direttiva 99/44/CE ha comportato la necessaria soluzione di molti interrogativi riguardanti essenzialmente i profili applicativi del testo normativo, sia in ordine ai limiti di estensione della garanzia, all’obbligatorietà della medesima, sia relativamente all’individuazione delle operazioni contrattuali non direttamente richiamate dal testo comunitario ma riconducibili alla medesima ratio.

In ordine all’identificazione del termine “garanzie” utilizzato dal legislatore comunitario,pertanto si può concordare parzialmente con il più recente orientamento dottrinale[52], secondo cui dal combinato disposto degli artt. 1, lett. e) e 6 della direttiva 99/44 risulterebbe chiaro il loro inquadramento in una categoria maggiormente ristretta in relazione alle previsioni codicistiche[53], intendendosi come tali unicamente quei negozi con cui il produttore o il venditore si impegnino volontariamente verso il consumatore e senza pretendere alcun corrispettivo, a rimborsare il prezzo pagato, a sostituire o riparare il bene di consumo o ad intervenire altrimenti su di esso qualora quest’ultimo non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità.

Il legislatore comunitario sembrerebbe dunque aver introdotto a livello comunitario una sorta di “negozio di garanzia di buon funzionamento” applicabile unicamente ai rapporti contrattuali tra professionista e consumatore, identificandone i contenuti minimali al fine di assicurare a quest’ultimo un maggiore grado di tutela e creando dunque quella sorta di doppio binario rispetto alle già vigenti disposizioni presenti all’interno dei singoli Stati membri.

Non può infatti dubitarsi del maggiore grado di garanzia in senso lato offerto al consumatore in ordine ad una pluralità di aspetti, quali gli strumenti di tutela offerti, le disposizioni concernenti le presunzioni di non conformità del bene, l’estensione del concetto di “difetto di conformità”, la determinazione di nuovi e più favorevoli limiti temporali in ordine alla manifestazione del difetto di conformità.

Se dunque limitassimo il nostro approfondimento alla natura giuridica della “garanzia” (contrattualità e volontarietà), così come prima facie potrebbe risultare da una prima analisi del testo comunitario dovremmo concludere che il problema in ordine a compatibilità-coordinamento tra normativa comunitaria e previgente normativa nazionale dovrebbe essere limitato all’analisi dei rapporti -per quanto concerne il nostro ordinamento- tra garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 c.c. e artt. 1 e 6, direttiva 99/44/CE: dunque, in base alla ricostruzione de qua, il consumatore sarebbe tutelato in forme più incisive, secondo le disposizioni comunitarie, solo ove il venditore avesse rilasciato una garanzia contrattuale, anche se non nei precisi termini di cui alla direttiva[54].

Tale impostazione sembra essere stata confermata da coloro i quali -soffermandosi su taluni dati normativi- riconoscono che la direttiva non sia arrivata a statuire l’obbligatorietà della prestazione di siffatte garanzie da parte dei produttori o dei venditori[55]: l’immediata conseguenza di tale interpretazione sarebbe l’impossibilità di applicare la nuova normativa comunitaria (così come recepita dai singoli Stati membri) in caso di mancato rilascio al consumatore di qualsivoglia garanzia (contrattuale), residuando in tal caso unicamente l’applicabilità della previgente normativa codicistica che certamente non risulta essere caratterizzata da un pari grado di incisività di tutela.

Non si può concordare con tale interpretazione in quanto in tal modo si andrebbe a svuotare di ogni contenuto quella necessità (espressa nella direttiva) di assicurare al consumatore un grado di tutela minimale, imperativa e certamente superiore al sistema previgente.

Tale considerazione risulta essere suffragata direttamente dal mero dato normativo: infatti  la stessa direttiva riconosce, al considerando n.7, che i beni devono soprattutto essere conformi alle disposizioni contrattuali; che il principio di conformità al contratto può essere considerato come una base comune alle varie tradizioni giuridiche nazionali; che per garantire la protezione del consumatore possono essere di utilità ulteriori disposizioni nazionali nell’ipotesi in cui le parti non abbiano concordato alcuna condizione contrattuale specifica, ovvero abbiano stipulato condizioni o accordi che, direttamente o indirettamente, limitino o escludono i diritti del consumatore e che nella misura in cui tali diritti derivano dalla presente direttiva, non vincolano il consumatore, all’art. 2 che il venditore ha il dovere di consegnare al consumatore beni conformi al contratto, ed infine all’art. 6 che una garanzia che non risponda ai requisiti di cui ai paragrafi 2, 3, 4 rimane comunque valida e il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l’applicazione.


[1] Cfr. SCHWARTZE, Europaische Sachmangelgewahrleistung beim Warenkauf, Tubingen, 2000, p. 146 ss.

[2] Ulp. D. 21.1.1.1; 21.1.38 pr.

[3] V., diffusamente, ARANGIO – RUIZ, La compravendita in diritto romano2, Napoli, 1954, p. 361 ss.

[4] Ad eccezione della disposizione contenuta nel § 480 I BGB che, in alternativa m ri­medi classici, attribuisce al compratore di cosa generica la facoltà di pretendere la Ersatzlie­ferung. La ratio di questa particolare regola consiste in ciò, che nella vendita di genus la for­nitura di una cosa difforme rispetto a quella pattuita rappresenta consegna di aliud, inido­nea a liberare il venditore: cfr. HERBERGER, Rechtsnatur, Aufgabe und Funktion der Sa­chmangelhajtung nach dem Bargerlichen Gesetzbuch, Berlin, 1974, p. 96. Occorre sin d’ora precisare che l’art. 1512 c.c., il quale legittima il compratore a pretendere l’esatto adempi­mento in alternativa alle tradizionali forme di protezione, costituisce una fattispecie desti­nata ad entrare in gioco solo quando sia stata espressamente pattuita inter partes la garanzia di buon funzionamento (oppure nel caso in cui siffatta garanzia sia prevista dagli usi); dun­que non si può certo al riguardo parlare di un rimedio legale di esatto adempimento, ma di una forma speciale di tutela rimessa all’autonomia privata (o, caso mai, agli usi).

[5][5][5] BALDUS, Binnenkonkurrenz kaufrechtlicher Sachmangelansprache nach Europarecht, Baden – Baden, 1999, p. 62; KIRCHER, Die Voraussetzungen der Sachmangelhaftung beim Wa­renkauf, Tubingen, 1998, p. 265; WENDEL, Entwicklung, Kodifikation und Rechtspraxis der Sachmangelgewahrleistung im bürgerlichen Gesetzbuch, insbesondere beim Gattungskauf, Diss., Aachen, 1994, p. 27. È poi noto che l’ulteriore ragione della mancata previsione a fa­vore del compratore del diritto alla restitutio in integrum è rappresentata dal diffuso convin­cimento secondo cui l’eventuale prestazione di facere imposta al venditore allorché il bene consegnato risultasse viziato, avrebbe avuto l’inammissibile conseguenza di stravolgere il contenuto della prestazione, che si connota nel puro dare: cfr. RUBINO, La compravendita2, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da Cicu, Messineo, vol. XXIII, Milano, 1971, p. 825 ss. (il quale, però, riconosce l’azione di esatto adempimento nel caso in cui il venditore sia in col­pa). Dunque, a parere dell’orientamento in discussione, al di fuori della garanzia pattizia di buon funzionamento non vi sarebbe alcuno spazio per annoverare il diritto del compratore al risarcimento in forma specifica all’interno della categoria degli elementi naturali della fattispecie. In altri termini «daB es nämlich Sache der Parteien und nicht Sache des Ge­setzgebers sei, einen Nachbesserungsanspruch des K1iufers zu begründen. Für eine richter­liche Rechtsfortbildung ist daher kein Raum»: così KAHLER, Zur Nachbesserung beim Kauf, in JZ 1984, p. 395. In senso contrario v. GIORGIANNI, L’inadempimento 3, Milano, 1975, p. 78 ss.; nonché, più in generale, CECCHERINI, Risarcimento del danno e riparazione informa spe­cifica, Milano, 1989, spec. p. 23 e 26 ss.

[6] La «specialità» del regime della garanzia per i vizi, rispetto alle regole generali del­la tutela creditoria, deriva dal carattere oggettivo e dalla brevità del termine di prescrizione delle relative azioni. Cfr., BERCOVITZ, R., La naturaleza de las acciones redhibitoria y estimatoria de la compraventa, in Anuario de derecho civil, 1969, p. 804; ORTI VALLEJO, La proteccion del comprador por el defecto de la cosa vendida, Granada, 1987, p. 24 ss. L’analisi degli istitu­ti di tutela del compratore, nell’ambito delle regole generali della responsabilità contrattua­le, si è imposta nei contributi più recenti di RUBIO GARRIDO, La garantia del art. 11 LCU, in Anuario de derecho civil, 1990, p. 888; TORRES LANA, La garantia en las ventas al consumidor, in Estudios Homenaje al prf! Lacruz, Bosch. Barcelona, 1992; FENOY PICON, Falta de confor­midad y incumplimiento en la compraventa (Evolucion del ordenamiento espanol), Colegio de Registradores de la Propriedad, Madrid, 1996.

Sul tema delle garanzie edilizie, nell’esperienza italiana, si rimanda agli ampi riferi­menti bibliografici di BIANCA, La vendita e la permuta, nel Trattato di dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1993, p. 699. L’A. riassume i termini della questione affermando che «sul­la natura della garanzia (.. .), mancano soluzioni chiare: suggestioni storiche e concettuali concorrono a rendere questo problema uno dei momenti di più incerta comprensione nel­lo studio della vendita. Nella misura in cui si riesca a superare tali suggestioni, i risultati del­la ricerca si delineano per altro in termini semplici nel riconoscimento che la garanzia della vendita si inserisce coerentemente nel sistema generale della responsabilità contrattuale »; si veda anche RUBINO, La compravendita, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineu, Milano, 1971, p. 637, che considera la presenza di vizi nella cosa venduta (mn’ir­regolarità dell’attribuzione traslativa gravante sul venditore ».

[7] Cass. 19.11.85, n. 5686 rv. 442878

[8] Cass. 1999 n. 12947, Giur Civ. 2000 fasc. I pag. 2024 ;

[9] Gazzoni F. Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004

[10] Cass. 03/2570, Giur. Civ. 2004, 300

[11] Gazzoni F. Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004

[12] Art. 1487c.c. I contraenti possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia e possono altresì pattuire che il venditore non sia soggetto a garanzia alcuna. Quantunque sia pattuita l’esclusione della garanzia, i venditore è sempre tenuto per l’evizione derivante da un fatto proprio. È nullo ogni patto contrario.

[13] Quando è esclusa la garanzia non si applicano le disposizioni degli art. 1479 e 1480,; se si verifica l’evizione il compratore può pretendere dal venditore solo la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese. Il venditore è esente anche da quest’obbligo quando la vendita è stata convenuta a rischio e pericolo del venitore

[14]Cass. 94/2541

[15] Cass. . 85/2463, Giur. Civ. 86, I, 1136

[16] Cassazione  sent. 3022 del 22.10.74

[17] sent. n.829 del 29.01.83

[18] Suggestiva è al riguardo la riflessione di MENGONI, Profili di una revisione della teo­ria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 21, secondo cui l’art. 1497 c.c. costituisce «una delle disposizioni più infelici del nostro codice ». Un’ulteriore cri­tica intorno alla distinzione fra vizi e difetti qualitativi è avanzata da RAVAZZONI, La com­pravendita, Parma, 1992, p. 226 s., e da RUBINO, La compravendita, cit., p. 760 s.

[19] Cfr. LUMINOSO, La compravendita2, Torino, 1998, p. 264 S.

[20] Cfr. GUOZZI, L’imprenditore commerciale, Bologna, 1998, p. 18 ss. Sulla base della lettura dell’art. 1497 c.c. ispirata al criterio di ragione, è stata tratta la seguente conclusione: «differenze apprezzabili di disciplina tra vizi è mancanza di qualità non appaiono in alcun modo giustificate. Già la sostanziale omogeneità, dal punto di vista ontologico, tra vizi e mancanza di qualità essenziali non può costituire, di per se stessa, un argomento determi­nante a favore della completa parificazione delle rispettive forme di tutela»: LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 268 S.

[21] Cass., 6 aprile 1949, n. 821, in Foro it., 1949, I, c. 50.

[22] Cass. 17 aprile 1970, n. 1113, in Giust. civ., 1970, I, p. 1167.

[23] BIN, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna sulla vendita internazio­nale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 755 ss., il quale fra l’altro osserva che «il sistema del­la convenzione non legittima alcuna distinzione tra consegna di beni totalmente diversi da quelli previsti nel contratto «inadempimento totale», o – se si vuole – aliud pro alio in sen­so stretto) e consegna di beni non conformi «prestazione inesatta» (ivi, p. 760): v. inol­tre BIANCA, sub art. 35, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di be­ni mobili, Commentario coordinato dallo stesso autore, in Nuove leggi civ. comm., 1989, p. 147 dell’estratto.

[24] Commentata da DE NOVA, La proposta di direttiva sulla vendita e la garanzia di be­ni di consumo, in Riv. dir. priv., 1987, p. 22 ss.

[25] Ai sensi dell’art. 3, comma 4°, della menzionata proposta di direttiva, allorché «un difetto di conformità è segnalato al venditore, a norma dell’art. 4, il consumatore ha diritto di chiedere a questi la riparazione del bene senza spese ed entro un termine ragionevole, o la sostituzione del bene quando possibile, o una riduzione adeguata del prezzo, oppure la risoluzione del contratto. L’esercizio del diritto alla risoluzione del contratto o alla sostitu­zione del bene è limitato ad un anno. Gli stati membri possono prevedere che in caso di di­fetti secondari la gamma dei diritti di cui al primo comma sia limitata».

[26] Cfr. in particolare il § 3.13 del Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Il Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del consiglio sulla vendita e le garanzie dei be­ni di consumo Il, in G.U.C.E. C 66, p. 9, secondo cui «nel corso della consultazione sul Libro verde la questione delle possibilità di scelta del consumatore fra i diversi mezzi di ricorso è stata valutata in modo controverso. Il Comitato sostiene il principio che il consumatore debba poter far valere il suo diritto ad una prestazione conforme al contratto nel modo più veloce ed efficiente. A tal fine appare opportuno offrire al consumatore anche la possibilità di scegliere fra più mezzi di ricorso – a condizione che questi siano economicamente soste­nibili per il commerciante».

[27] Cfr. KIRCHER, Die Voraussetzungen der Sachmangelhaftung, cit., p. 282.

[28] Cfr. BALDUS, Binnenkonkurrenz kaufrechtlicher Sachmangelansprache, cit., p. 25; TROCHU, Vente et Jaranties des biens de consommation: directive CE n° 1999-44 du 25 mai 1999, in Dalloz (Chron.), 2000, p. 122.

[29] In questo senso v. KIRCHER, Die Voraussetzungen der Sachmangelhaftung, cit., p. 282.

[30] Non a caso è assai diffuso l’impiego da parte delle grandi imprese (all’interno delle condizioni generali dalle stesse praticate ai destinatari finali dei beni commerciati) della ga­ranzia di buon funzionamento (ex art, 1512 c.c.), proprio perché attraverso questa pattui­zione il venditore riesce ad amministrare (mediante il servizio di assistenza post-vendita) i rischi derivanti dall’eventuale accertamento di vizi, salvaguardando il fondamentale inte­resse a mantenere in piedi il rapporto negoziale: cfr. ALPA, Il diritto dei consumaton3, Bari, 1999, p. 231 ss.

[31] V. KIRCHER, Die Voraussetzungen der Sachmangelhaftung, cit., p. 280 ss.

[32] Analoghe critiche sono state indirizzate da RUST, Das kaufrechtliche Gewahrlei­stungsrecht, cit., p. 139, al § 438 III BGB-KE: «Entgegen der Meinung der Schuldrecht­ skommission, die Nacherftillung sei deshalb geboten, weil sie im RechtsbewuBtsein des Käufers interessenma Big im Vordergrund stiinde, ist der Kommissionsentwurf aufgrund des weit zu verstehenden Ausnahmetatbestandes in § 438 III KE meli durch die Einftih­ rang eines Rechts des Verkäufers zur zweiten Andienung und Abwendung anderer Recht­ sbehelfe als durch die Schaffung eines Nacherfùllungsanspruchs des Käufers gekennzeich­net». Ma, in senso contrario, v. KIRCHER, Die Voraussetzungen der Sachmangelhaftung, cit., p. 265, ad avviso del quale «anstatt die ubermachtige Stellung der Verkauferseite durch ein Recht zur zweiten Andienung auszubauen, solle darauf geachtet werden, die Stellung des rechtlich und wirtschaftlich schwächeren Käufers zu starken».

[33] Tale impasse è stata in nuce intuita da App. Torino, 22 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, p. 2112 ss. (con nota sostanzialmente adesiva di CIATTI, Azione inibitoria, sostituzione in corso di causa di condizioni generali di contratto abusive ed esclusione della facoltà del com­pratore di risolvere il contratto di vendita): «la considerazione secondo cui il consumatore sarebbe comunque garantito dall’obbligo della casa produttrice di porre rimedio ai difetti a sue spese e con la messa a disposizione nel frattempo di un’auto sostitutiva (ma non è det­to dello stesso tipo e modello), oppure in ultima ipotesi, con la sostituzione dell’auto’ stes­sa, non permette di superare la obiezione che, in talune ipotesi, il consumatore potrebbe preferire, vista la brutta esperienza passata attraverso tutti i passaggi su indicati, chiedere la risoluzione del contratto con la restituzione del prezzo pagato, tenuto conto che l’acquisto di un’auto di una certa marca non equivale alla contrazione di un vincolo matrimoniale (scindibile, tra l’altro, anch’esso) con conseguente obbligo di “fedeltà”».

[34] V., in questo senso, HUBER, sub art. 48, in SCHLECHTRIEM (Hrsg.), Kommentar zum Einheitlichen UN-Kaufrecht 3, Minchen, 2000, p. 524.

[35] A meno che si ritenga di seguire il suggerimento, che verrà abbozzato nell’ultimo paragrafo di questo saggio (ma che è già stato prospettato dà BIN nell’intervento introdutti­vo al presente dibattito), di ritenere libero il legislatore interno d’incrementare il grado di protezione del consumatore attribuendogli la piena libertà di scelta del rimedio cui far ri­corso nel caso concreto

[36] Paradigmatica è BGH, NJW 1998, p. 677.

[37] Cfr. CREUTZIG, Recht des Autokaufs, Wurzburg, 1999, p. 213; HUBER, Autokauf, K61n – Frankfurt a. M., 1996, p. 60. Anche il nuovo testo del § 7 IV delle Allgemeine Ce­schaftsbedingungen für den Verkauf von fabrikneuen Kraftfahrzeugen und Anhängern (NWVB), in Bundesanzeiger, 1998 (243), p. 17691, sul punto adotta una formula che in linea di massima legittima il ricorso ai rimedi tradizionali là dove il primo tentativo di riparazio­ne sia fallito, in conformità all’interpretazione seguìta dal BGH: «Schlingt – unter Beach­tung vorstehender Ziffer 2 a) geltend gemachte – Nachbesserung fehl, insbesondere wenn Kehler nicht beseitigt werden kann oder für den kiiufer weitere Nachbesserungsversuche unzumutbar sind, kann der Kiiufer vom Verkiiufer Wandlung (Riickgiingigmachung des Kaufvertrages) oder Minderung (Herabsetzung der Vergiftung) verlangen. Ein Anspruch auf Ersatzlieferung besteht nicht».

[38] Cfr. amplius, Carpino B., La vendita, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 1984; Luminoso, op. cit., 199; Bianca C. M., La vendita e la pernuta, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1993.

[39] Luminoso A., La compravendita, Torino, 1991, 253 ss

[40] In tal senso Bianca C. M., ult. op. cit., 885 e ss..

[41] In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. II, 22-08-1998, n. 8338, in Corriere giur., 1998, 1155, n. Carbone, in Danno e resp., 1998, 1079, n. Gioia, in Guida al dir., 1998, fasc. 36, 41, n. Piselli, in Foro it., 1999, I, 188, n. Scoditti, Pardolesi, ove la Suprema Corte, espressamente ha affermato che «In tema di compravendita, l’obbligazione di garanzia gravante sul venditore discende dal fatto (oggettivo) del trasferimento di un bene affetto da vizi che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscano in misura apprezzabile il valore, mentre eventuali profili di colpa dell’alienante rilevano, ex art. 1424 c.c., ai soli, eventuali (e diversi) fini risarcitori; ne consegue che, in caso di immissioni eccedenti o meno la normale tollerabilità (nella specie, rumorosità delle tubazioni del bagno sito nell’appartamento immediatamente superiore a quello alienato), la preesistenza del vizio rispetto alla conclusione del contratto di compravendita rende responsabile il venditore per aver alienato un bene oggettivamente affetto da un determinato difetto, senza che rilevi, in contrario, né la astratta possibilità della coesistenza di tale profilo di responsabilità con quello,concorrente (ma a diverso titolo), del vicino, ai sensi dell’art. 844 c.c., né il mancato superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, poiché il predetto limite è specificamente stabilito per la proponibilità della sola azione ex art. 844 c.c.».

[42] Cass., sez. II, 12-02-1994, n. 1424, in Contratti, 1994, 550, n. Giuggioli.
[25] Istituzionalmente, la vendita aliud pro alio, viene identificata nell’operazione negoziale in cui il venditore consegna un bene diverso da quello esattamente individuato dalle parti al momento della conclusione del contratto. Si ritiene infatti che ove il bene oggetto del trasferimento coincida con il bene venduto, per quanto gravi siano le carenze ed i difetti, si tratterebbe sempre di mancanza di qualità o di vizio redibitorio. Da quanto detto, si desume che vi è una grande varietà di sottospecie di anomalie del bene oggetto di vendita, tra cui  i vizi della cosa (art. 1490 c.c.), la mancanza delle qualità promesse (art. 1497 c.c.), la mancanza delle qualità essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata (art. 1497 c.c.), il cattivo funzionamento del bene (art. 1512 c.c.): a queste categorie, va appunto aggiunta la vendita aliud pro alio. In tale ultimo caso il compratore potrà agire con l’azione di risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c., soggetta a prescrizione decennale, con l’azione di adempimento (prevista dallo stesso 1453 c.c.) e l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., ai sensi del quale «nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non la adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria…». Inoltre, ove il venditore all’atto della conclusione del contratto, conosceva o doveva conoscere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che la cosa trasferita in proprietà era difforme da quella promessa, il compratore potrà chiedere il risarcimento dei danni subiti.

[43] Particolarmente significative in tal senso, nella ricca produzione giurisprudenziale, Cass., 31-03-1987, n. 3093, in Mass., 1987, Cass., 12-02-1988, n. 1530, in Mass., 1988 e Cass., sez. II, 13-01-1997, n. 244, in Mass., 1997, in cui precisamente si dispone «In tema di compravendita, il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.), pur presupponendo entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra; vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall’ipotesi della consegna aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto (il giudice di merito aveva ritenuto trattarsi di vizi redibitori in una fattispecie in cui i difetti di alcune resistenze elettriche consegnate erano inerenti al processo di produzione o di fabbricazione ed aveva escluso l’ipotesi della consegna dell’aliud pro alio, in quanto la merce stessa apparteneva al genere ordinato dall’acquirente ed il riscontrato difetto di funzionalità era risultato rimediabile attraverso il procedimento di «essiccazione» appositamente prescritto dalla casa costruttrice per rimuoverlo e ricondurre l’anomalia in percentuali ammissibili; la suprema corte, in applicazione dell’enunciato principio di diritto, ha confermato la pronuncia del merito)».

[44] In ordine ai caratteri differenziali tra vizi, mancanza di qualità e vendita aliud pro alio, vedi Luminoso, op. cit., 190 e ss., Gabrielli E., La consegna di cosa diversa, Napoli, 1987; Rossi V., Vizi, mancanza di qualità ed aliud pro aliud datum: differenze ed analogie tra i tre aspetti dell’inadempimento, in Dir e Giur., 1997, 207; per ampi riferimenti giurisprudenziali, Salvadori M. G., La consegna di aliud pro alio, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale -La vendita-, a cura di Mario Bin, II, Padova, 1996, 783.

[45] In letteratura, in tal senso, pur riconoscendo le difficoltà nel determinare una netta distinzione tra le varie categorie di “vizi” in senso lato, Bianca C.M., ult. op. cit., 296, Luminoso, op. cit., 191; contra, Ferri G. B., Vendita in generale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XI, Torino, 2000, 251, in cui l’A. tende invece a ricondurre a fenomeno unitario il concetto di vizio e la mancanza di qualità essenziali; in giurisprudenza, Cass., sez. II, 13-01-1997, n. 244, già cit. e, anche in relazione alla differenziazione tra mancanza di qualità essenziali e consegna di aliud pro alio, Cass., sez. III, 19-01-1995, n. 593, in Foro it., 1995, I, 2504, e Giur. it., 1995, I, 1, 1679.

[46] Bianca C.M., ult. op. cit.,  260, 885 e ss.

[47] Vedi, per gli ampi richiami giurisprudenziali, Siragusa V., La garanzia per mancanza di qualità, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale -La vendita-, a cura di Mario Bin., II, Padova, 1996, 653 e ss.

[48] In dottrina, Luminoso A., op. cit., 216, rileva le persistenti difficoltà di inquadramento giuridico della norma; Bianca C.M., ult. op. cit., 306, esclude che la garanzia de qua possa essere intesa sia quale assicurazione contro determinati rischi, sia quale promessa di funzionamento, definendola come «impegno contrattuale in ordine a qualità e requisiti attuali del bene, cioè a quelle qualità e requisiti  di integrità che ne consentano un certo funzionamento».

[49] Per un’ampia casistica giurisprudenziale, cfr. Regoli F. A., La garanzia di buon funzionamento, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale -La vendita-, a cura di Mario Bin., II, Padova, 1996, 897 e ss.

[50] Sul punto vedi, amplius, Bianca C. M., ult. op. cit., 312.

[51] Il riferimento è al concetto di “garanzia legale”, ex artt. 1490 e ss. c.c. (cfr. par. 3).

[52] Ricordiamo infatti che la direttiva, all’art. 6, punto 5 prevede espressamente che «una garanzia che non risponda ai requisiti di cui ai paragrafi 2, 3, 4, rimane comunque valida, ed il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l’applicazione».

[53] Cfr. De Cristofaro, op. cit., 14-15, ed in spec. vedi i richiami a nota 25.

[54] Vedi De Cristofaro G., op. cit., 42, ed in spec. nota 34.

[55] Recentemente, la giurisprudenza di merito, ha espressamente sancito l’applicabilità al software, degli artt. 1490 e ss. c.c.: Giudice di Pace di Napoli, 20-3-2000, in Nuovo diritto, 2000, II, 647, n. Saffioti M..

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