Cass., ord. 4 dicembre 2018, n. 31345, Pres. Manna – Rel. Riverso
Massima
In materia previdenziale, la prescrizione dei contributi già maturata è sottratta alla disponibilità delle parti ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche per la prima volta in appello, non rientrando tra le eccezioni nuove vietate dall’art. 437, comma 2, c.p.c.; ciò in forza dell’art. 3, comma 9, l. n. 335/1995 e, per il periodo anteriore, dell’art. 55, comma 2, r.d.l. n. 1827/1935.
Commento
Prescrizione dei contributi previdenziali: rilevabilità d’ufficio e limiti alle preclusioni processuali
Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia previdenziale: la prescrizione dei contributi dovuti agli enti previdenziali è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio d’appello, non essendo soggetta alle preclusioni di cui all’art. 437, comma 2, c.p.c.
La vicenda trae origine da una cartella esattoriale emessa dall’INPS per contributi omessi relativi, tra l’altro, ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 1992. La società contribuente aveva proposto opposizione, poi rigettata dalla Corte d’Appello di Catania, che aveva ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione sollevata solo in secondo grado.
La Corte di Cassazione censura tale decisione, accogliendo il primo motivo di ricorso e riaffermando un orientamento giurisprudenziale consolidato: in ambito previdenziale, la prescrizione opera come limite oggettivo alla pretesa dell’ente ed è quindi rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. nn. 9226/2018, 27163/2008, 230/2002).
Profili normativi e giurisprudenziali
Tale impostazione trova fondamento nell’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335, secondo cui:
«I contributi di previdenza e assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versati con il decorso dei termini di cui al comma 9, anche se non è intervenuta eccezione di parte».
Tale principio si applica anche ai periodi anteriori all’entrata in vigore della legge n. 335/1995, in forza dell’art. 55, comma 2, del r.d.l. n. 1827/1935, che già prevedeva il limite oggettivo della prescrizione per i crediti contributivi.
Come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 9226/2018, 10186/2012, 25784/2008), la prescrizione in materia previdenziale non è soggetta al principio dispositivo, poiché incide sulla stessa esistenza del credito, e deve essere rilevata anche d’ufficio, senza che ciò costituisca violazione del principio di disponibilità della domanda.
In particolare, la Corte distingue tra:
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l’eccezione in senso stretto, che richiede allegazione di parte ed è soggetta a preclusioni (art. 437 c.p.c.);
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l’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, come nel caso della prescrizione previdenziale, per la quale non vige alcun divieto di nuova allegazione in appello (Cass. nn. 230/2002 e 25784/2008).
Dottrina
La dottrina ha condiviso e valorizzato tale orientamento:
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P. Tosi, evidenzia come “la sottrazione della prescrizione alla disponibilità delle parti in materia previdenziale si giustifica alla luce dell’interesse pubblico alla regolarità della gestione previdenziale e al principio di legalità in materia contributiva” (Dir. lav. rel. ind., 2019, 2, 347).
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F. Scarpelli, ha sottolineato che “l’art. 3, co. 9, l. 335/1995 rappresenta una norma di sistema, che impone al giudice un controllo officioso sulla legittimità temporale delle pretese contributive, proprio in ragione della loro funzione parafiscale” (Riv. it. dir. lav., 2020, I, 134).
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G. Santoro Passarelli, in una prospettiva più generale, ha affermato che “nelle materie in cui è coinvolto un interesse pubblico – come quello alla corretta riscossione dei contributi – la disponibilità dell’azione deve arretrare di fronte all’imperatività dell’ordinamento” (Manuale di diritto del lavoro, 2021, Giuffrè, p. 412).
Conclusioni
La pronuncia in esame consolida il principio per cui la prescrizione contributiva, in quanto norma imperativa, non può essere sacrificata alle logiche processuali privatistiche, imponendo al giudice un controllo autonomo e doveroso, anche in assenza di eccezione tempestiva. Ciò rafforza l’idea di un processo del lavoro e previdenziale orientato alla ricerca della verità sostanziale, nel quale il giudice non è semplice arbitro, ma attivo garante della legalità.