Retribuzioni
LA NOZIONE DI RETRIBUZIONE
L’art. 2094 c.c. individua nella retribuzione, l’oggetto dell’obbligazione corrispettiva o sinallagmatica del datore di lavoro.
La retribuzione è il corrispettivo che spetta al lavoratore per l’attività lavorativa svolta. È la principale obbligazione in capo al datore di lavoro e connota il rapporto di lavoro come un contratto oneroso di scambio ( o a prestazioni corrispettive).
La costituzione si occupa della retribuzione nell’art. 36, comma 1, in cui stabilisce che il lavoratore deve essere retribuito sulla base di due principi, quello della proporzionalità, secondo il quale la retribuzione deve essere determinata secondo il principio dell’equivalenza alla qualità e alla quantità del lavoro, la sua commisurazione, pertanto dipende non solo dalla durata e dall’’intensità del lavoro, ma anche dal tipo di mansioni espletate e dalle loro caratteristiche (principio della differenziazione salariale) (GHERA), e quello della sufficienza: per esso la misura minima della retribuzione deve andare oltre il minimo vitale o di sussistenza, in modo da garantire un’esistenza libera e dignitosa per il lavorator e per la sua famiglia (GHERA).
La retribuzione è, dunque, stabilita nei limiti predetti proporzione sufficienza, dalla contrattazione collettiva e, in senso migliorativo, da quella individuale.
La retribuzione non si risolve in un mero corrispettivo dell’adempimento della prestazione, ma anche dall’impegno profuso personalmente nell’attività, il lavoratore viene, infatti, retribuito anche quando non adempie all’obbligazione (ferie, permessi). La disciplina legale o contrattuale impone al datore di lavoro di retribuire comunque il lavoratore anche se questo non effettua la controprestazione, contrariamente a quanto normalmente avviene nei contratti sinallagmatici.
Dall’art. 2094 c.c. rilevano gli elementi indefettibili della nozione di retribuzione, individuati nell’obbligatorietà della retribuzione e nella predeterminatezza dell’ammontare, affinché si tratti di retribuzione occorre che la prestazione sia dovuta al lavoratore in via necessaria e non eventuale, quale compenso di una specifica attività di lavoro ordinario o straordinario, oppure di un periodo di inattività ricompresso nella durata convenzionale e non solo effettiva della prestazione.
Nella definizione normativa della retribuzione come corrispettivo del lavoro, sono compresi tutti gli elementi fondamentali e accessori che compongono la retribuzione: maggiorazioni dovute per il lavoro straordinario e notturno ed i compensi per ferie e festività, malattie e simili; le diverse voci o integrazioni corrisposte a titolo di cottimo, incentivo, premio, indennità, gratifica o mensilità supplementari.
Gli artt. 2120 e 2121 c.c. fanno riferimento alla c.d. omnicomprensività della retribuzione intendendo per tale, tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale nonché ad ogni compenso di carattere continuativo con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.
Tuttavia lo stesso art. 2120 c.c. al 2°comma ha previsto la derogabilità della regola di omnicomprensività da parte dei contratti collettivi, tale disposizione tende a sottolineare la prevalenza dell’autonomia collettiva ed il ruolo sussidiario della disciplina legale per quello che concerne la composizione e il livello della retribuzione(GHERA).
RETRIBUZIONE MINIMA
Nel nostro ordinamento, come recita l’art. 2099 c.c., la retribuzione è fissata dall’autonomia collettiva, non esistendo una disciplina con forza di legge che determini in maniera specifica i principi generali dell’art. 36 della Costituzione. È funzione e compito della contratto collettivo di lavoro determinare, con l’aggiornamento ad ogni accordo di rinnovo, l’oggetto della retribuzione. La funzione fondamentale è quella tariffaria consistente nella fissazione delle regole o norme comuni relativa alla determinazione della retribuzione corrispondente ad un interesse non individuale del singolo lavoratore, ma collettivo. Tale interesse è realizzato attraverso la fissazione di “minimi”, mentre i c.d. superminimi, sono lasciati all’autonomia contrattuale individuale.
La retribuzione minima sufficiente assume un connotato essenziale del diritto del lavoratore al credito dal rapporto di lavoro, proprio in virtù del principio sancito dall’art. 36 della Costituzione, attribuendogli una funzione di sostentamento del lavoratore e non soltanto corrispettivo della prestazione.
FORME E TIPI DI RETRIBUZIONE
L’art. 2099 del c.c. stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito, possibilmente, quindi, sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (solitamente mensilmente).
È prevista tuttavia, anche, del tutto o in parte, la retribuzione in natura (portierato, lavoro domestico).
Due sono i sistemi principali e più diffusi di retribuzione: la retribuzione a tempo e quella a cottimo, il codice prevede altresì alcuni sistemi secondari come la partecipazione agli utili o ai prodotti e alla provvigione.
La retribuzione a tempo prevede che l’ammontare del pagamento retributivo sia proporzionato alla durata dell’attività lavorativa.
In questa forma di retribuzione un’importante differenza rileva fra la retribuzione oraria denominata salario e retribuzione mensile chiamata stipendio, corrispondente alla distinzione fra operai e impiegati.
La retribuzione a cottimo è relazionata, non soltanto al tempo impiegato, ma anche al risultato conseguito da un singolo lavoratore (cottimo individuale) o da un gruppo di lavoratori (cottimo collettivo) e quindi del rendimento fornito dal lavoratore durante l’orario di lavoro; il compenso unitario che spetta al lavoratore può essere riferito al numero di unità prodotte (cottimo puro) o alla quantità di lavoro realizzato e al tempo impiegato (cottimo a tempo). Altra forma di retribuzione a cottimo molto diffusa è quella del cottimo misto e cioè una retribuzione che non sia interamente a cottimo ma che preveda una maggiorazione su una base certa stabilita in ragione del tempo.
Nel cottimo la retribuzione è commisurata alla quantità della prestazione lavorativa determinata in base all’intensità del lavoro nell’unità di tempo e non alla sua durata, come nella retribuzione a tempo.
Nella struttura della retribuzione il cottimo si configura come una maggiorazione (c.d. utile di cottimo) integrativa della retribuzione fissa. (GHERA). Alla contrattazione collettiva e al sindacato è lasciato il compito di stabilire le tariffe di cottimo (ossia il compenso unitario del risultato di lavoro), l’intervento sindacale è circoscritto alla fissazione dei criteri per la formazione delle tariffe di cottimo, mentre la determinazione e l’applicazione delle tariffe stesse resta prerogativa discrezionale del datore di lavoro.
Ai sensi dell’art. 2100 c.c. prevede la retribuzione a cottimo quando il lavoratore:
– in conseguenza dell’organizzazione del lavoro è vincolato all’osservanza di un determinato ritmo produttivo;
– nelle lavorazioni ad economia di tempo in cui la valutazione della sua prestazione sia fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione.
Un particolare sistema di retribuzione è quello della partecipazione agli utili, mediante il quale il prestatore di lavoro viene retribuito in tutto o in parte con una percentuale sugli utili conseguiti dall’imprenditore nell’esercizio della sua attività
Anche la provvigione rileva come forma di partecipazione ai prodotti prevista dal legislatore, si adotta, di solito, nelle attività in cui il prestatore è tenuto a realizzare affari concludendo contratti nell’interesse e perciò in rappresentanza del datore di lavoro.
COMPOSIZIONE DELLA RETRIBUZIONE
La retribuzione è composta da tre parti:
La retribuzione diretta consiste in quella parte della retribuzione che il lavoratore percepisce a scadenze periodiche (normalmente coincidono con il mese). Essa è costituita dalla paga base, dalle indennità di contingenza, dagli scatti di anzianità, dal premio di produzione, dall’ indennità di mensa e da indennità varie previste dai contratti collettivi.
La retribuzione indiretta. E’ quella parte della retribuzione che il lavoratore matura nel corso dell’anno e percepisce normalmente una sola volta nell’arco dei 12 mesi. È composta dalle ferie, dalle festività, dai permessi retribuiti, dal premio di risultato, dalle mensilità aggiuntive (tredicesima, quattordicesima).
La retribuzione differita. E’ quella parte della retribuzione che il lavoratore matura gradualmente e percepisce in un momento successivo a quello in cui si svolge il lavoro (ad esempio la liquidazione, ossia il trattamento di fine rapporto o TFR).
LA RETRIBUZIONE E I SUOI ELEMENTI
La retribuzione è costituita da una serie di elementi che si elencano di seguito:
La paga base consiste nel trattamento economico minimo che ogni contratto di categoria riconosce al lavoratore ad un certo livello di inquadramento, dall’aggiunta delle varie integrazioni (maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo) si risale alla c.d. retribuzione globale.
L’indennità di contingenza rappresentava l’aumento retributivo periodicamente corrisposto in conseguenza dell’aumento del costo della vita
Il superminimo che corrisponde a quella parte della retribuzione che supera i minimi tariffari previsti dai CCNL, assegnati individualmente o collettivamente, di regola a livello aziendale
Gli scatti o aumenti periodici sono quegli aumenti che maturano con il permanere del lavoratore nella stessa qualifica e che la contrattazione collettiva prevede di solito con frequenza biennale.
Rilevano anche le varie indennità previste dalla contrattazione collettiva che vengono riconosciute al lavoratore per compensare lavori disagiati, gravosi o comunque considerati penosi rispetto allo standard normale della prestazione (GHERA).
Diffusi sono anche i premi collettivi di produzione, previsti dai contratti collettivi e concessi al lavoratore nell’intento di farlo partecipare ai benefici della produttività aziendale misurata attraverso indici tecnici ed economici.
Altresì si individuano premi di presenza (per combattere l’assenteismo) e premi individuali e gratifiche per assicurare un’integrazione discrezionale.
Un cenno merita pure l’indennità di mensa, sostitutiva del relativo servizio.
La ragione di questa natura complessa della retribuzione trova giustificazione nel fatto che le aziende e la contrattazione collettiva tendono a differenziare la retribuzione articolandone la composizione in modo da adattarla alle singole condizioni lavorative e alle singole prestazioni.
REDDITO E FINI CONTRIBUTIVI
La retribuzione è considerata dalla legge come base imponibile per i contributi previdenziale e fiscali.
Per l’assoggettabilità ai fini fiscali e previdenziali rileva l’erogazione del datore di lavoro e cioè la circostanza che le somme e i valori percepiti dal lavoratore siano in relazione, connessione, al rapporto di lavoro e non appartengono alle tipologie espressamente escluse dall’imposizione fiscale e da quella previdenziale (GHERA).
Tra le somme escluse rientrano ad esempio quelle corrisposte a titolo di tfr o in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori .
È importante ricordare che la legge riconosce all’autonomia collettiva un ruolo fondamentale anche ai fini previdenziali, poiché assegna alla contrattazione collettiva la determinazione della nozione di retribuzione contributiva minima, ed altresì il regime contributivo di istituti ed elementi della retribuzione e delle stesse prestazioni previdenziali.
MORA CREDENDI E PRIVILEGIO DEL CREDITO
L’obbligazione retributiva ha natura pecuniaria, pertanto, sempre possibile. L’attività del datore di lavoro rileva sotto il profilo della cooperazione creditoria, dando luogo alla figura della mora del creditore.
Il creditore è costituito in mora mediante l’intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono necessari da parte sua, per renderla possibile, il codice afferma che l’intimazione può essere fatta “nelle forme d’uso”.
La mancata cooperazione deve essere ingiustificata, qualora non lo sia si ha mora del creditore e questi non è liberato dall’obbligo corrispettivo della retribuzione.
La norma prevede, altresì, il risarcimento dei danni dovuti al ritardo nell’adempimento, nonché le spese che ne conseguono.
Il lavoratore nel caso di mancata retribuzione, matura un diritto del credito nei confronti nel datore di lavoro garantito da varie disposizioni di legge.
Tale diritto, una volta accertato, può essere oggetto di sentenze di condanna immediatamente esecutive sin dal dispositivo.
I crediti retributivi, inoltre, in caso di insolvenza, assumono il carattere di credito privilegiato, questo consente al lavoratore si soddisfarsi prima di altri crediti.
Nell’ipotesi di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore che abbia crediti di lavoro deve innanzi tutto presentare al giudice una domanda di insinuazione al passivo fallimentare se a seguito di tale domanda, il giudice fallimentare accerta il credito, la somma dovuta al lavoratore concorrerà, insieme alle spettanze degli altri creditori, al riparto degli utili del fallimento. In ogni caso, il lavoratore subordinato è un creditore privilegiato: infatti, l’utile del fallimento deve essere in primo luogo utilizzato per soddisfare i creditori di questa categoria, mentre i creditori chirografari, ovvero non privilegiati, possono essere soddisfatti solo mediante l’eventuale residuo. Nel caso in cui l’attivo del fallimento non basti neppure per soddisfare i crediti dei lavoratori subordinati, la L. 297/82, a maggiore tutela dei lavoratori, ha previsto che, in caso, appunto, di fallimento, la corresponsione del Trattamento di Fine Rapporto sia a carico di un Fondo di garanzia istituito presso l’Inps.
Più recentemente, l’art. 2 del decreto legislativo 27/1/92 n. 80 (di attuazione della direttiva CEE 80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), ha disposto che, in caso in cui il datore di lavoro fallisca o sia assoggettato ad un’altra procedura concorsuale, il lavoratore possa rivendicare il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto, rientranti nei 12 mesi che precedono la data del fallimento, al già citato Fondo di garanzia. Però il pagamento in questione non può superare la somma pari a 3 volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile, al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali. Inoltre, decorso un anno, il credito del lavoratore verso il Fondo si prescrive, con la conseguenza che la somma può essere rivendicata solo nei confronti del fallimento, con la procedura sopra brevemente indicata.
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