La revocabilità dell’ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio
Con la sentenza n. 16800/2008 (qui leggibile come documento correlato) la III Sezione Civile della Suprema Corte si è ancora una volta pronunciata sul tema della natura discrezionale o vincolata del potere, proprio dell’organo Giudicante, di ammettere il giuramento suppletorio di cui all’art. 2736 c.c., su richiesta delle parti od in seguito ad una propria valutazione; nonché sulla necessità di motivare puntualmente tale provvedimento.
I fatti posti all’attenzione della III Sezione Civile sono i seguenti: in seguito ad un incidente stradale veniva proposta, dinanzi all’Ufficio del Giudice di Pace di Andria, domanda di risarcimento dei danni materiali pretesamene subiti. La relativa domanda veniva rigettava, stante, secondo la valutazione discrezionale dell’Autorità giudiziaria, l’assenza di prova in ordine al nesso causale fra i danni stessi lamentati e l’evento dannoso.
La sentenza veniva appellata dinanzi al Tribunale di Trani, Sezione distaccata di Andria: l’iter processuale del relativo giudizio d’appello si mostrava però “tortuoso”. In particolare, dapprima il Tribunale anzidetto, senza disporre alcuna attività istruttoria, rimetteva la causa in decisione, quindi, con un’inversione di rotta, ne disponeva la rimessione sul ruolo con deferimento all’appellante principale, del giuramento suppletorio, espletato il quale la causa veniva nuovamente rimessa in decisione. Quest’ultima aderiva, quindi, alle medesime posizioni fatte proprie dal Giudice di Pace di Andria, ovvero si concretava in una pronuncia di rigetto della domanda d’appello per carenza probatoria in ordine al nesso causale.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso il preteso danneggiato assumendo che, il Tribunale di Trani revocando sic et simpliciter l’ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio si era limitato ad una mera rivalutazione del materiale probatorio ritenuto integrante prima facie un’ipotesi di semiplena probatio.
LA PROVA E I POTERI ISTRUTTORI DEL GIUDICE
Tanto detto, giova ricordare che il diritto alla prova, è inteso nella sua comune accezione come diritto delle parti di ottenere dal giudice l’accertamento dei fatti prospettati mediante le prove di cui dispongono, e costituisce diretta esplicazione del diritto costituzionale di difesa (art. 24 Cost.).
Il diritto alla prova si traduce quindi nel diritto di pretendere dal giudice una decisione fondata soltanto sulle prove dedotte dalle parti ed acquisite nel rispetto del contraddittorio, salvi i casi in cui sia previsto dalla legge l’intervento officioso del giudice nel disporre determinati mezzi istruttori.
Va da sé naturalmente che l’individuazione del thema probandum, relativamente al quale viene espletata l’attività istruttoria, va effettuata sulla base del petitum e, soprattutto, della causa petendi dedotti in giudizio dal richiedente poiché il Giudicante dovrà estendere la propria cognizione, e quindi correlativamente dovrà acquisire il relativo materiale probatorio, a tutti e soli quei fatti costitutivi – impeditivi – modificativi – estintivi in forza dei quali le parti gli domandano una determinata statuizione.
Il principio dispositivo va però integrato con quello cosiddetto “di acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e qualunque sia la parte ad iniziativa della quale sono state assunte, concorrono tutte indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice. Spesso però, di fronte a riscontri tali da integrare una semiplena probatio, e dunque non muniti di precisione, la giurisprudenza concede l’ingresso del giuramento suppletorio onde ottenere piena prova dell’an del danno.
Il giuramento suppletorio è un istituto con il quale si contravviene al principio generale di libera disponibilità delle prove in capo alle parti.
La disciplina dell’istituto in parola si ritrova sia agli artt. 2736 ss. in riferimento alle norme sull’ammissibilità, sia agli artt. 233 c.p.c. e ss. relativamente alle norme regolanti la sua assunzione.
Già presente nel processo romano del periodo arcaico (il processo per legis actiones), ad oggi trova il suo fondamento giuridico nella funzione di correttivo al principio dell’onere della prova nonché il suo fondamento tecnico nella funzione di massima prova legale preclusiva di qualsivoglia prova contraria.
Il giuramento suppletorio in quanto prova orale, si forma durante il corso del giudizio e rientra nella categoria delle cosiddette prove costituende (nella quale sono comprese la confessione, giuramento, testimonianza, l’ispezione giudiziale e la richiesta di informazioni alla p.a).
Il giuramento, non viene mai prestato spontaneamente dalla parte, occorrendo per legge il deferimento affidato alla controparte o al giudice.
Il deferimento del giuramento suppletorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, cui è riservata tanto la valutazione circa la sussistenza del requisito della “semiplena probatio” e dell’opportunità di avvalersi o meno di tale mezzo di prova integrativo, quanto la scelta della parte alla quale il giuramento deve essere deferito.
Nondimeno si consideri che nella determinazione della formula del giuramento suppletorio il giudice di merito non è in alcun modo legato a quanto affermato dall’una o dall’altra parte, ma è libero di indicarla sulla base di elementi di fatto acquisiti al processo e nei limiti del thema probandum, potendo nell’esercizio di un potere discrezionale, ben modificare l’assunto delle parti con riferimento a detti elementi, in modo che attraverso l’esperimento del giuramento, si possa raggiungere la piena prova che la parte interessata non risulta aver fornito.
Ove adoperato, pertanto, il giuramento suppletorio costituisce un vulnus al principio dell’onere della prova.
Da quanto detto ne consegue nel nostro processo un ruolo attivo da parte del giudice, che, alla luce dei principi dettati dal Consiglio d’Europa, raccomandazione n. 5 del 1984 “dovrebbe, almeno nel corso dell’udienza preliminare, ma, se possibile, in tutti gli stadi della procedura, svolgere un ruolo attivo al fine di assicurare, nel rispetto dei diritti delle parti e del principio della loro eguaglianza, uno svolgimento rapido delle procedure, in particolare dovrebbe (d’ufficio) avere il potere di chiedere alle parti ogni chiarificazione utile, di farle comparire personalmente, di sollevare delle questioni di diritto, di ricercare le prove, almeno nel caso in cui il merito della questione non sia a disposizione delle parti, di dirigere l’amministrazione delle prove, di escludere dei testimoni se la loro deposizione eventuale non sia pertinente relativamente al caso, di limitare il numero, se eccessivo, di testimoni chiamati a deporre sugli stessi fatti”.
È noto, d’altro canto, che, per la natura di prova legale che l’ordinamento attribuisce al giuramento suppletorio, il giudice del merito, una volta che l’abbia deferito, non è tenuto a valutare la verosimiglianza o meno delle affermazioni del giurante, non rimanendogli da compiere altra indagine se non quella sull’an iuratum sit.
Per quanto concerne invece l’efficacia probatoria del giuramento suppletorio(che ha valore di prova legale quanto ai fatti che ne formano oggetto, fatti che, all’esito del suo rituale compimento, non possono non considerarsi definitivamente accertati) deriva dalla sua stessa prestazione in una situazione in cui la domanda, pur se non pienamente provata, non è, tuttavia, completamente sfornita di prova.
In altri termini questo strumento giuridico viene utilizzato quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate ma non sono del tutto sfornite di prova (art. 2736, n.2 prima parte, c.c.). Il ricorso a tale mezzo di prova presuppone quindi una situazione probatoria incompleta, la c.d. semiplena probatio.
Il giuramento suppletorio è un mezzo di prova sottratto quindi alla disponibilità delle parti, eccezionalmente riservato invece all’iniziativa discrezionale del giudice di merito, il quale ha la facoltà di deferirlo allorché su un determinato fatto ritenga raggiunta una situazione probatoria, la c.d. semiplena probatio, non pienamente soddisfacente per il suo convincimento. Conformerete la giurisprudenza di questa Corte ha più volte evidenziato che la valutazione circa la sussistenza del suddetto requisito e dell’opportunità di avvalersi o meno di tale mezzo di prova integrativo, così come anche la scelta della parte a cui deferire il giuramento suppletorio costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione.
È certo però che l’intervento del giudice non può costituire un aiuto per la parte che sia incorsa in decadenze o abbia proposto una difesa lacunosa.
Va sottolineato altresì che se è vero che il giuramento suppletorio si presenta come una norma derogatoria al principio dell’onere della prova, nondimeno si rilevano nell’art. 2736 c.c. dei confini insuperabili.
A tal proposito, difatti, si osservi che il giudice non potrà mai intervenire a ricreare una prova necessaria e non fornita dalla parte, ma potrà solo cercare d’integrare la prova incerta attraverso l’attività d’ufficio.
Questo potere è chiaramente sganciato dai termini decadenziali, ne deriva quindi che potrà essere disposto in qualunque fase del giudizio, salvo naturalmente la concessione alle parti di un termine perentorio ai sensi dell’art. 184 ult. co. c.p.c. per l’eventuale formulazione dei mezzi di prova che si reputino necessari in relazione ai capitoli di prova formulati dal giudice.
Un problema che si pone attiene alla natura del giuramento suppletorio. Ed invero questo presuppone la c.d. semipiena probatio, vale a dire che la domanda o le eccezioni non siano pienamente provate nel senso che l’incompletezza probatoria attiene all’an della domanda.
Orbene ci si chiede quali sono i limiti di questa semipiena probatio, problema non di poco conto, posto che la giurisprudenza chiarisce che il potere di disporre il mezzo istruttorio, in questione, attiene alla discrezionalità del giudice, e non è censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della congruità della motivazione.
L’ORDINANZA AMMISSIVA DEL GIURAMENTO SUPPLETORIO: PROFILI SISTEMATICI E ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
La sentenza che qui si annota appare interessante in quanto viene ripresa una vecchia polemica che anima la dottrina processualcivilistica nonché la giurisprudenza in relazione ai limiti in cui l’organo giudicante è ammesso a revocare l’ordinanza ammissiva del giuramento, qualora detta ordinanza sia sfornita di motivazione.
Ebbene, il ricorrente nel primo motivo d’impugnazione asserisce che il Tribunale ha proceduto ad una revoca espressa, fondandola su un riapprezzamento del materiale istruttorio come inidoneo a giustificare il deferimento del giuramento, contestando che in detta rivalutazione, anziché riesaminare gli elementi per valutarne la caratura probatoria, ai fini del giuramento suppletorio, si è direttamente rielaborato il precedente materiale istruttorio.
A fronte di dette deduzioni la Suprema Corte rileva come il motivo addotto da parte ricorrente sia del tutto astratto, in quanto resta su un piano assolutamente generico e non pone in evidenza quali siano le affermazioni con le quali la sentenza impugnata avrebbe commesso le violazioni di legge.
Ne discende a contrario che elementi imprescindibili ai fini dell’impugnazione sono per l’appunto la concretezza e la specificità dei motivi, ovvero la critica alla sentenza impugnata e quindi l’esplicita e dettagliata indicazione delle ragioni per cui essa è errata.
La dottrina da lunga data afferma difatti che la specificità dei motivi impone che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, siano contrapposte quelle dell’appellante, volte a mettere in discussione il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo ovviamente le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono; ragion per cui, alla parte volitiva dell’appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni del primo giudice.
Non è sufficiente quindi il fatto che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata.
In altri termini il motivo che non rispetti tali requisiti si considera nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, e dunque, come disposto dall’art. 366 n. 4 c.p.c. la proposizione di un “non motivo” è espressamente sanzionata con la nullità.
Del resto occorre però precisare, che i motivi d’appello debbono essere rapportati alla decisione impugnata e, quindi, quando essa contenga affermazioni generiche, l’appellante può limitarsi a dedurre quanto necessario per contestarla (Sent. n. 25002 del 9 novembre 2006 dep. il 24 novembre 2006 della Corte Cass. Sez. tributaria).
Sul primo motivo, dunque, nulla quaestio, non avendo gli strumenti per un’efficace comparazione.
Neanche il secondo motivo dedotto dal ricorrente è risultato tuttavia meritevole di accoglimento. Ed invero questi, nella sentenza di cui in parola, critica la motivazione con cui il Tribunale ha giustificato la revoca, rivalutando il materiale probatorio che prima facie aveva ritenuto integrare la semiplena probatio.
Ebbene su tale questione, come è noto, taluni affermano che dato il presupposto per cui la valutazione in ordine all’ammissibilità e rilevanza del giuramento suppletorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, l’omessa motivazione su tale discrezionale decisione non può essere invocata in sede di legittimità.
D’altro canto invece, la giurisprudenza maggioritaria si è attestata sulla posizione per cui il giudice di merito che la causa giunta ad uno stato di semiplena probatio ha la facoltà e non l’obbligo di deferire il giuramento suppletorio ai sensi del disposto dell’art. 2736 c.c. , mentre alla parte che abbia assolto in modo insufficiente al proprio onere probatorio, va riconosciuto, simmetricamente, non altro che un interesse di fatto a quel deferimento.
In realtà, ciò che effettivamente è sottratto a ogni successivo controllo giudiziario è solo la decisione di non disporre il giuramento suppletorio, che non abbisogna di motivazione, a meno che, come in ogni altra fattispecie di attribuzione di poteri istruttori officiosi, la parte non solleciti l’uso di tali poteri, perché in tal caso il giudice è tenuto a giustificare in modo adeguato e corretto la sua decisione. Quando invece il giudice decide di deferire il giuramento deve fornire una motivazione adeguata e corretta, giuridicamente e logicamente, della sua scelta e, su iniziativa della parte che si ritiene pregiudicata da tale decisione, tale motivazione può essere sottoposta a controllo da parte dello stesso giudice che può revocare il provvedimento, del giudice d’appello o in sede di legittimità. La situazione processuale in cui il giudice deferisce il giuramento suppletorio e quella in cui la causa sia decisa sulla base della regola di giudizio, non sono in realtà eguali, perché nel primo caso il giudice non solo deve indicare perché sussiste la semiplena probatio (che è una, ma non l’unica, situazione in cui sarebbe giustificato il ricorso alla regola di giudizio) ma anche perché ha ritenuto di ricorrere al potere ufficioso.
Tuttavia le posizioni sulla predetta questione non si esauriscono qui. Altra parte della giurisprudenza ha diversamente ritenuto che se il giudice non ritiene di disporre il giuramento suppletorio, non è tenuto a spiegarne le ragioni, mentre se lo dispone, la sua decisione è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’adeguatezza e logico della motivazione in ordine alla sussistenza dell’indispensabile condizione della semiplena probatio e alla scelta della parte cui deferirlo.
Un orientamento più risalente riteneva invece sindacabile l’ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio ove la motivazione con cui il giudice di merito l’abbia disposto presenti vizi logici o giuridici. A questa posizione aderisce la Suprema Corte con la sentenza in parola.
Ed invero, per quanto il potere del giudice di merito di disporre il giuramento suppletorio ovvero di revocarlo è un potere che comporta una valutazione discrezionale va correlato con l’art. 111 co. 6 Cost. per cui i poteri processuali debbono sempre esprimersi in una motivazione che dev’essere rispondente e obbedire a canoni di logica generale o a canoni di logica discendenti dallo svolgimento del processo.
Tanto detto, la ragionevole conseguenza è che la valutazione con cui sia stato disposto o sia stato negato il giuramento suppletorio è censurabile in Cassazione come vizio di norme sul procedimento, sia quando una motivazione manchi, sia quando il giudice abbia giustificato l’esercizio del potere di ammissione o negazione assumendo che il provvedimento per l’ammissione non sia quello della semiplena probatio bensì diverso, sia quando la motivazione sia esplicitata ed il giudice abbia assunto a presupposto dell’ammissione ovvero della non ammissione rispettivamente l’esistenza nel caso e l’inesistenza nel secondo caso di una situazione di semiplena probatio, attribuendo o negando tale natura alla situazione probatoria esistente nel giudizio in relazione alla fattispecie giudicata con una valutazione che risulti erronea secondo le categorie della logica generale o di quella giuridica pertinente nella specie.
Con tutto ciò a mente di un ragionamento così puntuale, la Suprema Corte conclude che il ricorrente non ha denunciato né che il giudice di merito ha esercitato il potere di revoca assumendo che presupposto del giuramento suppletorio sia qualcos’altro rispetto alla sempiplena probatio, né tantomeno ha denunciato un vizio logico in ordine all’apprezzamento della sussistenza della semiplena probatio.
Insomma ad avviso della Suprema Corte la critica esposta nel motivo non indica in alcun modo il ragionamento espressivo dell’apprezzamento denegatorio della semiplena probatio.
Da un’analisi peculiare dell’istituto del giuramento suppletorio si evince tuttavia in modo evidente il principio per cui l’impulso d’ufficio richiede che le indicazioni necessarie siano già, per altra via, state acquisite al processo, ovvero attraverso ad esempio altri testi, o mediante le stesse parti nell’ipotesi dell’art. 281 ter c.p.c.; l’organo giudicante esercita quindi il suo potere giacché indirizzato dalle stesse allegazioni delle parti.
Detto ciò, non appaiono condivisibili, a mio avviso, le argomentazioni così come svolte nella sentenza in parola, giacché nel giudizio di merito dinanzi al Tribunale quest’ultimo, aveva ritenuto incomprensibilmente inattendibili le dichiarazioni di un teste, nonché una serie di elementi utili alla qualificazione di semiplena probatio.
Ebbene, nel caso di specie, si è determinata una evidente lacuna del materiale probatorio che solo il ricorso al giuramento suppletorio avrebbe consentito di superare.
La motivazione sulla quale poggia la sentenza de qua, è quindi certamente erronea sul piano giuridico, e tale errore, avendo comportato la mancata acquisizione di un mezzo istruttorio che, per il suo carattere avrebbe assunto rilevanza decisiva ai fini dell’accoglimento della domanda della ricorrente, si riflette inevitabilmente sulla decisione adottata.
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