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Il libretto di idoneità sanitaria: atto pubblico (come affermano gli “ermellini”) o certificazione amministrativa?

La sentenza Cassazione, 29 maggio 2008, n. 21839 (qui leggibile come documento correlato) si segnala perché affronta uno dei temi più complessi della parte speciale del diritto penale, quello relativo alla falsità in atti pubblici.
Il caso di specie appare interessante in quanto, ancora una volta, la Suprema Corte si è pronunciata sulla natura di atto pubblico o di certificazione amministrativa del libretto di idoneità sanitaria regolato dagli artt. 14 l. n. 283 del 1962, 37 dpr del 1980 e 5 dpr 260 del 1980.
Per valutare la correttezza delle soluzioni proposte dalla suprema Corte, è opportuno soffermarsi sui concetti di fede pubblica e atto pubblico.
I delitti contro la fede pubblica appartengono alla categoria dei reati plurioffensivi, e cioè dei reati che offendono più interessi. In essi si riscontrano due offese: una comune a tutti i delitti della categoria, l’altra che varia da delitto a delitto. La prima concerne la pubblica fede (cioè la fiducia e la sicurezza del traffico giuridico), la seconda l’interesse specifico che è salvaguardato dalla integrità dei mezzi probatori.
La fede pubblica, come è noto, rappresenta quindi la fiducia che la collettività ripone in determinati oggetti o simboli sulla cui veridicità deve potersi fare affidamento per rendere più sicuro ed affidabile il traffico giuridico ed economico, la funzione di parametro di riferimento sistematico delle diverse condotte di falso.
Per quanto attiene, invece, l’inquadramento normativo di atto pubblico si osservi che nel nostro ordinamento giuridico una definizione esplicita di atto pubblico è contenuta esclusivamente nel codice civile agli artt. 2699 e 2700 c.c., ove è disposto che l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove è formato, e che l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
L’art. 493 c.p. estende, altresì, la nozione di atto pubblico dal punto di vista soggettivo, stabilendo che le norme sulla falsità in atti si applicano agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro funzioni, arrivando così a considerare possibili autori di questi reati anche soggetti diversi dai p.u. in senso stretto.
Ed ancora, l’art. 476 c.p. amplia, il concetto di atto pubblico da un punto di vista oggettivo, configurando il falso materiale non solo nei confronti degli atti pubblici facenti piena prova fino alla querela di falso, ma anche di quelli non fidefacienti.
Ne deriva che l’atto pubblico così definito può essere oggetto non solo di falsità materiale ex art. 476 c.p., ma anche di falsità ideologica ai sensi dell’art. 479 c.p. poiché mentre nelle scritture private, viene punito solo il falso materiale nei documenti pubblici la tutela penale è estesa anche al falso ideologico.
Poste tali doverose premesse, la sentenza in parola interviene sulla qualificazione di libretto di idoneità sanitaria ritenendolo atto pubblico.
Ma davvero questa è un’interpretazione degna di pregio oppure il documento in esame è da ritenersi una semplice certificazione amministrativa?
A sostegno di quest’ultima ipotesi si ricordi quella parte della giurisprudenza per cui, detto documento appare destinato esclusivamente ad autorizzare all’esercizio di attività lavorativa ritenuta “sensibile” e quindi sottoposta a tutela pubblica mediante autorizzazione preventiva all’esercizio.
A tale puntuale ricostruzione gli Ermellini, nella sentenza in commento, contraddicono affermando il principio per cui il sanitario sarebbe invece un controllore della legalità della procedura e dunque il libretto di idoneità sanitaria ha natura di atto pubblico e non di certificazione amministrativa.
Come pacificamente affermato infatti deve ritenersi “pubblico” qualunque atto “proveniente da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e destinato ad inserirsi, con contributo di conoscenza o determinazione, in un procedimento della pubblica amministrazione”.
Viceversa al fine di qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da pubblico ufficiale, devono concorrere due condizioni: ovvero che l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto da un pubblico ufficiale ma si limiti solo a riprodurre tout court gli effetti dell’atto preesistente.
A fortiori posto che l’ufficiale sanitario compie un’autonoma attestazione sullo stato di salute ne consegue che già di per sé questo elemento valga a negare la natura di certificazione amministrativa del libretto di idoneità sanitaria.
Il libretto di idoneità sanitaria è dunque da qualificarsi come atto pubblico, e non mera certificazione amministrativa, in quanto contenente attestazione di attività direttamente svolta dal pubblico ufficiale e non di fatti dal medesimo verificati solo in modo indiretto.
Infatti, non vi è dubbio che il documento di cui si controverte, disponga certamente di un contenuto non originario bensì derivativo, ed è sicuro che, in questa sua parte, esso si presenta come pedissequa certificazione. Ma alla sezione certificativa si affianca altra dichiarazione, di diversa natura, che presuppone l’accertamento della sussistenza in concreto dei requisiti richiesti. Se pur è vero che detti dati risultano parzialmente consacrati in verifiche sanitarie già effettuate e disponibili, tuttavia il controllo che si richiede è un quid pluris.
È di tutta evidenza che il libretto di idoneità sanitaria possa essere qualificato unicamente come atto pubblico.
Tutto ciò premesso, correttamente la Suprema Corte ha rilevato che il libretto sanitario prescritto dalla legge 30 aprile 1962, n. 260, rientra nella categoria degli atti pubblici ai sensi dell’art. 476 c.p..
Si aggiunga che ad incidere peraltro sulla natura pubblica del libretto d’idoneità sanitaria, concorreva, nel caso di specie, la circostanza per cui, questo proveniva da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e che era destinato ad inserirsi con contributo determinante in un procedimento amministrativo.
Ed invero la Corte, dopo aver inquadrato l’atto in questione tra quelli pubblici esamina la configurabilità del reato anche dal punto di vista soggettivo, ovvero in relazione alla qualità del suo autore di funzionario amministrativo.
Degno di attenzione sul punto appare la difesa articolata dal ricorrente che contesta la qualifica di pubblico ufficiale attribuitagli dalla sentenza impugnata deducendo piuttosto che rivestiva la qualifica di assistente amministrativo.
Anche in relazione a detta questione le censure della Suprema Corte risultano tuttavia puntuali.
Ai sensi dell’art. 357 co. 1 c.p. è considerato pubblico ufficiale “agli effetti della legge penale” colui il quale esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria, amministrativa.
Orbene mentre la funzione legislativa e giudiziaria sono in quanto tali pubbliche funzioni, per quanto attiene la funzione amministrativa il legislatore si è posto il problema di definire a quali condizioni l’attività amministrativa possa considerarsi pubblica funzione.
È definita pubblica la funzione amministrativa disciplinata da “norme di diritto pubblico”, ovvero da quelle norme volte al perseguimento di uno scopo pubblico ed alla tutela di un interesse pubblico e, come tali, contrapposte alle norme di diritto privato.
Il legislatore attribuisce speciali tutele e, parallelamente, obblighi e doveri, a colui che esercitando l’attività amministrativa si trovi ad avere, per la particolare natura di quest’ultima, la possibilità di incidere sui diritti del privato.
Ma il legislatore nell’art. 357 c.p. così come novellato ha ridisegnato la nozione di pubblico ufficiale ispirandosi alla concezione oggettiva e abbandonando il riferimento al rapporto di dipendenza del soggetto con un ente pubblico e alla sue caratteristiche.
Ebbene, dalle considerazioni suesposte ne deriva che ciò che rileva è lo svolgimento in concreto della pubblica funzione o del pubblico servizio.
Difatti il concetto di pubblico ufficiale, come detto, è stato ampliato correlandolo all’attività in concreto espletata, indipendentemente dallo stato giuridico, onde la qualità di pubblico ufficiale va attribuita a tutti coloro che esercitano una funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione e dal suo svolgersi attraverso atti autoritativi e certificativi.
Tanto detto, ne discende che l’inquadramento lavorativo come assistente anziché come funzionario, contestato dal ricorrente, di per sé non rappresenta una censura sulla configurabilità o meno del reato di cui all’art. 479 c.p. per la ragione che la qualifica lavorativa da sola non dimostra l’idoneità o meno del soggetto legato all’ente da un rapporto di diritto pubblico, a svolgere in concreto poteri autoritativi o certificativi e a partecipare alla formazione dell’ente.
La suprema Corte, nella decisione in esame, ha dunque ravvisato correttamente la sussistenza del reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 c.p.), riconoscendo la natura di atto pubblico al documento oggetto della falsificazione.

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