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Responsabilità e “status” professionale del praticante avvocato per lo svolgimento di attività stragiudiziale. Intuizione della Corte o errore di interpretazione?

Nella sentenza (Cassazione, Sezione seconda, sentenza n. 8445/08; depositata l’ 1 aprile) che qui si annota viene esaminata una questione assai diffusa nella realtà di gran parte degli studi legali e di particolare interesse per i tanti giovani praticanti avvocati abilitati, e non, per i quali si è posto il problema, se possano rispondere per colpa professionale nello svolgimento della consulenza legale prestata in sede stragiudiziale.
Ed invero, con la sentenza n. 8445 dell’1 gennaio 2008 (qui leggibile come documento correlato) la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità professionale di un praticante avvocato condannandolo a risarcire personalmente i danni alla cliente per aver fatto decorrere il termine triennale di prescrizione di un danno da incidente stradale per il quale era stata riconosciuta una invalidità permanente, tanto che la compagnia di assicurazione intendeva offrirle una somma di ristoro.
Tuttavia poste tali premesse, occorre svolgere alcune considerazioni.
Il patrocinio del praticante abilitato rappresenta una delle modalità di espletamento del tirocinio di quest’ultimo ed, in quanto tale, ha come obiettivo lo sviluppo delle cognizioni tecniche dell’aspirante, oltre che l’apprendimento delle norme di condotta e dei valori morali ed ideali dell’avvocatura.
Orbene, il praticante avvocato, anche se temporaneamente ammesso al patrocinio, non costituisce una figura autonoma di professionista.
Ed invero come ribadito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 maggio 2002, n. 163 “il conseguimento dell’abilitazione professionale, collegato all’iscrizione nell’albo professionale, attribuisce la qualificazione piena e permanente per l’attività di avvocato, mentre il periodo di pratica forense è, per quanto riguarda l’esercizio del patrocinio, limitato nell’attività professionale e nel tempo (dopo un anno di iscrizione nel registro e per non più di sei anni: art. 8 del r.d.l. n. 1578 del 1933; art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242, recante “Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale”) ed è sottoposto ad una particolare vigilanza del Consiglio dell’ordine di appartenenza (art. 14, lettera c, del r.d.l. n. 1578 del 1933) e a speciali adempimenti – attinenti alla frequenza di uno studio di avvocato e all’esercizio del patrocinio (art. 17, numero 5, del r.d.l. n. 1578 del 1933; artt. 8 e 10 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 recante “Norme integrative e di attuazione del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore”; d.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, recante “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”) – collegati a poteri del Consiglio dell’ordine presso il quale sono iscritti per la pratica e il patrocinio provvisorio (art. 4 del d.P.R. n. 101 del 1990).
Tanto detto, occorre quindi a mio avviso precisare che il praticante ancora non abilitato non può essere considerato vero e proprio professionista posto che come è noto è un soggetto abilitato ad un’attività di tirocinio propedeutico e di formazione rispetto alla professione di avvocato, ed è titolare, quindi, di uno “status” abilitativo provvisorio, limitato e temporaneo, che consente di compiere le attività proprie della professione ma soltanto sotto il controllo di un avvocato.
Pertanto l’attività di tirocinio costituisce uno status ben differente rispetto a chi ha ottenuto l’abilitazione all’esercizio professionale all’esito di un esame di Stato e all’iscrizione nell’albo di avvocato. È ben vero che come correttamente statuito dalla sentenza in parola, la responsabilità nell’esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale è rigorosamente personale perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato dall’intuitus personae che appunto indica nel linguaggio giuridico, quei negozi nei quali è rilevante per il consenso di una parte la fiducia riposta nell’altro contraente.
Tuttavia, è di tutta evidenza nel caso di specie che, l’attività volta alla richiesta di risarcimento danni per il decorso di un termine prescrizionale per un danno da incidente stradale ha natura giudiziale, ancorché espletata al di fuori del processo, e pertanto è affettò da nullità assoluta ed insanabile il contratto di patrocinio stipulato in contrasto con l’articolo 2231 Cc.
Alla stregua di detti principi deve pertanto ritenersi che tutta l’attività professionale svolta dall’Avv. Borgoni, quando egli non era abilitato al patrocinio in favore della Sig.ra Ribichini sia affetta da insanabile nullità sin dalla sua genesi e che nessuna somma a titolo di risarcimento poteva pretendere parte attrice con riferimento alle attività professionali da questo svolte.
Detta nullità discende dall’applicazione dell’articolo 1418, 10 comma, Cc, che disciplina i casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagna una previsione espressa di nullità. Pertanto è affetto da nullità assoluta ed insanabile il contratto di patrocinio stipulato in contrasto con l’articolo 2231 Cc da una persona non abilitata al patrocinio, e quindi abusivamente, atteso l’interesse dell’ordinamento a rimuovere detto contratto contrario all’ordinamento professionale (cfr., in senso conforme, Cassazione sentenza 3272/01).
A sostegno di quanto si argomenta non va trascurata quella giurisprudenza consolidata (cfr. Cassazione sentenze 5566/01 e 8286/99) che ai fini dell’applicazione delle disposizioni della legge professionale forense 1794/42 afferma che sono da considerarsi prestazioni giudiziali non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgano al di fuori del processo, purché strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio, cosicché possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad esse complementari.
Da quanto premesso, discende che i contratti di patrocinio stipulati tra cliente e praticante avvocato- negozi regolati dalle norme del c.c. sul contratto d’opera professionale e dalla disciplina della professione forense, ivi comprese le tariffe devono considerarsi radicalmente nulli senza possibilità alcuna di sanatoria, poiché in contrasto con una norma imperativa.
Peraltro altro elemento che a mio avviso appare trascurato è che la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass., 4044/1994, 1286/1998, 21894/2004, 16846/2005, 6537 e 6967 del 2006), ha ritenuto che l’affermazione di responsabilità di un legale, implica l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e perciò la “certezza morale” che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente.
Nondimeno è intuitivo che nell’ambito di uno studio legale, la delega di compiti ai collaboratori del medesimo è frequente. Difatti la possibilità di delegare comporta tutta una serie di benefici come, ad esempio, la riduzione del carico di lavoro e una organizzazione complessiva dello studio migliore.
In tale prospettiva ad esempio accade che, alcuni avvocati commettono talvolta l’errore di delegare compiti piuttosto importanti. In un’ottica propositiva forse sarebbe auspicabile stabilire preventivamente gli standard dell’attività delegata, concordare le scadenze e controllare periodicamente il lavoro del delegato. A tal proposito giova rammentare che negli Studi di oltre Manica e oltre oceano, il complesso dei passaggi formativi da compiersi parallelamente alla crescita di carriera, legata chiaramente anche alle capacità produttive e di sviluppo di lavoro, funziona proprio come una scuola interna allo Studio.
Occorre dunque forse partire da un idea di formazione del tutto nuova non finalizzata esclusivamente al superamento dell’esame di abilitazione ma piuttosto alla formazione di cultura professionale tale da aggiungere elementi imprescindibili di qualità, correttezza, e responsabilità sociale.

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