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Il risarcimento ex articolo 1224 Cc come debito di valuta e non di valore

La sentenza 14573/07 della Cassazione pubblicata su Diritto&Giustizia del 27 giugno 2007 ha ad oggetto le obbligazioni pecuniarie ed il regime applicabile del risarcimento del danno da mora per ritardato adempimento.
Ed invero la società Titanus Distribuzioni Spa in liquidazione conveniva in giudizio la società Sacher Film per ottenere la condanna al pagamento della somma pari a 420.000.000 che reclamava a titolo di risarcimento del danno per il mancato incasso dei contributi e dei premi governativi.
Ebbene con contratto del 12 ottobre 1987 la società convenuta le aveva affidato l’incarico di sfruttamento, distribuzione, noleggio e di utilizzazione di tre films, ma la Sacher Film srl delegata alla produzione esecutiva, malgrado avesse ottenuto il riconoscimento della nazionalità italiana per uno dei tre films soltanto con provvedimento del 7 gennaio 1992, non aveva ottenuto ancora l’ammissione della pellicola alla programmazione obbligatoria.
Oltretutto, il termine previsto in contratto per la consegna della documentazione occorrente per l’incasso dei contributi governativi era da tempo scaduto.
Tutto ciò aveva comportato che la Società Titanus Distribuzioni Spa aveva dovuto far ricorso al credito bancario. Di contro la società Sacher Film attribuiva la responsabilità alla pubblica amministrazione deducendo quindi che fosse imputabile a sua colpa.
Successivamente la società Titanus Distribuzioni Spa, dichiarava di aver ricevuto i contributi e limitava la sua domanda alla pretesa dei danni da ritardato inadempimento.
Dopo una prima pronuncia del Tribunale in favore della società Sacher Film per modifica del petitum, la Corte di Appello di Roma in integrale riforma, condannava la società Sacher Film a pagare la somma di € 136.128,90 unitamente agli interessi legali.
Proponeva così ricorso per cassazione la società Sacher Film adducendo contestualmente tre motivi.
In primo luogo rilevava la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1218, 1457, e 2697 c.c. e 99, 100, 112, 115, 116, 342 e 343 c.p.c.
Ed a tal proposito la società Sacher Film, osservava che la Società Titanus Distribuzioni spa aveva chiesto che la convenuta fosse dichiarata inadempiente agli obblighi assunti con la scrittura privata e condannata al risarcimento del danno, è chiaro quindi che l’atto di appello doveva essere dichiarato inammissibile posta la richiesta diversa da quella originariamente proposta. Orbene la Corte ha ritenuto non accoglibile tale motivo sulla scorta che dalle risultanze processuali emerge con tutta evidenza il cambiamento della situazione di fatto in corso di causa e dunque alcuna modifica della domanda proposta con atto introduttivo è risultata al giudice di merito, dal momento che rispetto all’originario petitum, la valutazione del pregiudizio economico aveva tenuto conto del solo periodo intercorrente tra la scadenza del termine e la data in cui il contributo era stato ottenuto. Pertanto alcuna mutatio libelli vietata si era verificata.
Come precisato poi dalla sentenza in commento la mutatio libelli si realizza “qualora si avanzi una pretesa oggettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa pretendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga un nuovo tema d’indagine e si spostino i temi della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare, in tal modo, il regolare svolgimento del processo”.
Per il giudice di legittimità al contrario si tratta invece di un semplice emendamento, consistente soltanto nella modifica dell’interpretazione e qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, l’odierna pretesa sull’inadempimento di obbligazione contrattuale, è rimasta invero identica nella causa pretendi e nel petitum solo la sua entità è stata determinata in considerazione della sua entità.
Ed ancora contesta l’odierna ricorrente che la Corte territoriale, avrebbe errato nel ritenere che, in virtù dell’art. 1218 c.c. quest’ultima era tenuta a dar prova liberatoria della non imputabilità del ritardo nell’esecuzione della prestazione.
A tal fine la società Sacher Film deduce che la clausola pattizia di cui all’art. 13 del contratto toglieva al termine di consegna della documentazione ogni carattere di essenzialità. Orbene tale motivo di censura non è stato accolto dalla sentenza in commento sul presupposto che ai sensi dell’art. 1457 c.c. non occorre stabilire se, nella previsione del contratto, le parti abbiamo inteso qualificare come essenziale il termine di consegna.
Alla Corte è parso doveroso chiarire questo punto dal momento che come è noto la differenza tra termine essenziale e non essenziale comporta che mentre l’inosservanza del primo porta la risoluzione di diritto con effetto ex tunc, l’inosservanza dell’altro può essere sanato fino al momento dell’intimazione della domanda di risoluzione della domanda, la quale ha luogo con effetto ex nunc.
Va osservato però che la non essenzialità del termine non equivale a mancanza di termine, e quindi non obbliga il creditore a porre in mora il debitore, ne tanto meno implica l’irrilevanza di qualsiasi ritardo ai fini della gravità nell’inadempimento.
Oltretutto la natura del termine rileva soltanto ai fini della risoluzione del contratto mentre non ha alcuna influenza sulla domanda di adempimento e su quella di risarcimento del danno per il ritardo.
A tal proposito si legge nella pronuncia in commento che la Società Titanus Distribuzioni spa ha agito per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal mancato adempimento nel termine dell’obbligo di consegna della documentazione. Ciò posto l’accettazione della consegna ritardata, non comporta la preclusione dell’azione risarcitoria derivante da ritardato adempimento.
Quest’ultimo in alcun modo viene sanato dall’accettazione di una prestazione parziale o ritardata, alcuna rinuncia al credito residuo può infatti presumersi,ne tanto meno al risarcimento del danno.
Giova opportunamente ricordare in aderenza a questo principio che i Giudici di legittimità già in passato si sono espresso tal senso. Ed invero come si legge nella pronuncia in commento “l’accettazione di un adempimento parziale, ai sensi dell’art. 1181 c.c non fa perdere al creditore il diritto di pretendere l’intero”.
Da ciò deriva che l’accettazione di una prestazione effettuata in ritardo non può significare rinuncia a pretendere il risarcimento del danno, sarà dunque applicabile l’art. 1218 c.c. secondo cui è il debitore che è tenuto a dimostrare di non aver potuto adempiere tempestivamente per cause a lui non imputabili.
Per quanto attiene poi l’eccezione mossa in ordine alla quantificazione del danno, è rinvenibile in sentenza che la pretesa della società si basa su un obbligazione ab origine di natura pecuniaria, e dunque il credito da essa derivante, non da diritto alla rivalutazione.
Occorre però al fine di comprendere le notazioni rese dalla sentenza che qui si annota dare una definizione di obbligazioni pecuniarie.
Il nostro codice civile disciplina le obbligazioni nella sezione I del capo VII del titolo I del libro IV delle obbligazioni, tra queste meritano un particolare cenno le obbligazioni pecuniarie che sono quelle obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro. Il criterio distintivo è che il denaro non è di regola ne un bene di consumo, ne un bene produttivo, non essendo idoneo a soddisfare un determinato bisogno ne a produrre altri beni1. Il denaro costituisce piuttosto un mezzo generale di acquisto dei beni attraverso la funzione di pagamento. Più nello specifico si osservi che il denaro è rappresentato dalla moneta2, cui è riconosciuta la funzione di mezzi generali di pagamento. Le obbligazioni pecuniarie rientrano nell’ambito delle obbligazioni generiche dal momento che hanno ad oggetto l’attribuzione in proprietà di un bene generico.
La funzione di pagamento della valuta è disposta dal principio secondo cui i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.
Principio specifico delle obbligazioni pecuniarie è quello nominalistico che rappresenta la regola secondo cui le obbligazioni pecuniarie si eseguono in conformità del loro importo nominale. Questo assunto è disposto dall’art. 1277 c.c che in se contiene implicitamente anche altri due principi ovvero quello liberatorio quello del valore nominale della valuta.
Le obbligazioni pecuniarie pertanto si estinguono mediante pagamento in moneta per un importo pari all’ammontare nominale del debito.
Al principio nominalistico sono assoggettate le obbligazioni di valuta, mentre quest’ultimo non si applicano ai debiti di valore. Si ricorda che debiti di valore quelli pecuniari determinabili esclusivamente in ragione di un dato valore economico.
Mentre i debiti di valore sono debiti non pecuniari e quindi sottratti alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie i debiti di valuta invece quelle obbligazioni che hanno per oggetto sin dall’origine ed in modo effettivo la prestazione di una certa somma di denaro che può essere determinata o determinabile in base a parametri fissi.
La ragione che ha portato il legislatore ad accogliere il principio nominalistico risiede nell’esigenza di inquadrare i debiti pecuniari come entità costanti.
Tipica ipotesi di obbligazione di valore è quella che ha per oggetto il risarcimento del danno. Ed invero in questo caso, la somma di denaro è dovuta non come bene a sé, ma come valore di un altro bene.
Al fine di distinguere i debiti di valuta da quelli di valore, è necessario fare riferimento non alla natura dell’oggetto, nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell’inadempimento, o del fatto dannoso, bensì all’oggetto diretti ed originario della prestazione, che nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre nelle obbligazioni di valuta è proprio una somma di denaro.
Nelle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell’ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare, in applicazione dell’art. 1224, secondo comma, c.c., solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre gli interessi, del maggior danno che sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l’inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro.
In genere sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, è riconosciuto al creditore il diritto agli interessi compensativi.
Gli interessi rappresentano le prestazioni pecuniarie percentuali e periodiche dovute da chi utilizza un capitale altrui o ne ritarda l’adempimento.
Carattere peculiare degli interessi è l’accessorietà e la pecuniarità in corrispondenza dell’obbligazione cui accedono.
La rivalutazione mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima del fatto illecito.
Le obbligazioni di valore però sono in genere sottratte al rischio di svalutazione, perché il loro importo dev’essere determinato in corrispondenza ad un valore economico reale.
Tutto ciò premesso, è deducibile quindi che il debito ex art, 1224 c.c. rubricato risarcimento del danno conseguente alla mora nell’adempimento di una obbligazione sin dall’origine pecuniaria ha natura di debito di valuta. Questo dal momento che in detto debito la moneta non rappresenta il sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, ma costituisce l’oggetto diretto di una prestazione che è sempre consistita nella prestazione sin dall’origine di una somma di denaro quale conseguenza dell’inadempimento di un’altra prestazione.
Tale assunto implica che detta obbligazione rimane assoggettata al principio nominalistico e non può essere rivalutata.
E dunque come si legge nella motivazione data in sentenza “ne deriva che il risarcimento del danno, conseguente alla mora nell’adempimento di un’obbligazione sin dall’origine pecuniaria, ha natura di debito di valuta, tanto se il risarcimento sia pari alla sola misura degli interessi al tasso legale e convenzionale, quanto se debba essere determinato anche in relazione alla maggiore misura dimostrata”.


1 Si veda Bianca C.M. , Diritto Civile, 2000, p. 141; Ascarelli
2 La moneta moderna è normalmente monopolio dello Stato ed ha un corso legale, ossia è mezzo legale di pagamento. Il denaro avente corso legale in un dato ordinamento giuridico è la valuta. Si veda Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie, 126.

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