Il diritto di associazione profili normativi
- Il contenuto e l’evoluzione del diritto di associazione
1.1. Il concetto del diritto di associarsi
I fenomeni associativi sono caratterizzati dall’elemento della comunanza del fine. Vi è cioè associazione nella misura in cui e fin dove vi siano finalità in comune.
Tuttavia non sempre l’associarsi[1] si presenta, per dir così allo stato puro. Ad esempio anche negli accordi con effetti obbligatori, si può rilevare pur sempre, entro certi limiti, una finalità comune la quale attiene alla volontà di realizzare l’accordo ed alla volontà che ad esso conseguano i suoi effetti tipici o negoziali[2].
Del resto, la dimensione funzionale e teleologicamente orientata dell’accordo è ben espressa, sul piano civilistico, dalla problematica connessa alla causa del contratto, soprattutto se essa evoca il risultato giuridico concretamente e concordemente perseguito con l’operazione negoziale[3].
Non è, viceversa, necessariamente ascrivibile ad un’esperienza associativa, il perseguimento delle finalità individuali che, all’accordo, hanno spinto ciascuno dei contraenti, né la realizzazione delle utilità che singolarmente traggano dall’esecuzione, propria o altrui, del medesimo.
Tutto ciò non significa affermare che l’art. 18 Cost. rappresenta il fondamento costituzionale dell’autonomia contrattuale, ma vuol dire che la libertà di contrarre e la libertà di associarsi[4] trova proprio nella norma il proprio fondamento e la propria garanzia, la cui limitazione può, dunque, ammettersi solo là dove altre disposizioni costituzionali (cfr. 41 ss. Cost.) ad essa deroghino, o consentano inequivocabilmente di derogare[5].
In epoca precostituzionale era molto accesa la disputa concernente la distinzione per ciò che attiene agli elementi materiali delle relative fattispecie di associazione e società.
Rispetto a questo problema si confrontavano due tesi diametralmente opposte: quella che riconosceva una distinzione fenomenologica tra le due vicende e quella che, invece la negava[6].
Si è autorevolemente affermato[7] che, a differenza delle società, le associazioni per il loro fine, per la loro attività e per il vantaggio che offrono, non devono conciliare in maniera giuridicamente rilevante interessi che il diritto considera contrapposti, ma sorgono da volontà dirette a soddisfare interessi di per sé armonici, convergenti o, per lo meno, paralleli. In esse i partecipanti tendono a scopi unitari che non generano alcun contrasto di interessi tra i componenti dell’associazione[8].
E si è, ancora, aggiunto che i membri delle società non tendono, come loro ultimo fine, alla soddisfazione di interessi coincidenti o paralleli ma tendono, attraverso la creazione di un vincolo giuridico, a realizzare guadagni da ripartire l’un di fronte all’altro, tutti di fronte ad ognuno[9].
Tali considerazioni sono accoglibili però solo se dall’assunzione del fenomeno societario deriva l’unitarietà che ad esso, estrinsecamente, viene assegnata dal diritto. Solo in tale prospettiva si può, affermare che il fine ultimo sia il perseguimento di fini e interessi individualistici e non comuni ai soci.
Se però si propende per un’ampia valorizzazione dell’associarsi, non è contestabile la prospettiva di inquadrare la società in un fenomeno più complesso, nel quale, al perseguimento di fini individuali e contrapposti si accompagna una imitata dinamica associativa, in cui rileva un associarsi, caratterizzato da un fine che non è il fine ultimo della creazione della società, ma che è pur sempre uno scopo collettivo e strumentale alla realizzazione degli interessi ultimi e individualmente differenziati[10].
Tuttavia, accogliendo troppo rigidamente la prospettiva di considerare rilevanti per l’inquadramento di un fenomeno nell’area dell’associarsi, solo i fini ultimi, si correrebbe il rischio di eliminare dal concetto anche fenomeni che, secondo il disposto costituzionale, la dottrina stessa sembra collocare nell’area fenomenologica dell’art. 18 Cost.[11].
Non solo l’associazione a delinquere, ma lo stesso concorso di persone nel reato è infatti una manifestazione associativa anche se illecita[12].
Se, dunque, accanto all’associazione come unione ideale ed intima di volontà concordanti[13] che sorge a seguito di una manifestazione di volontà o di un comportamento che direttamente o indirettamente tende alla creazione, alla conservazione ed alla vita di tale unità[14], viene tutelato anche un associarsi che, pur avendo caratteristiche identiche quanto ad ipostazione della volontà comune nell’unione, può collocarsi in una fattispecie più complessa, sembra difficile negare che tale proiezione interindividuale sia garantita anche, e nei limiti in cui costituisca una fase della realizzazione della volontà diretta a raggiungere fini per mezzo dell’associazione[15].
Alla luce di quanto detto si deve pertanto concludere che la nozione costituzionale di associazione abbraccia un ambito più esteso rispetto a quello definito in sede civilistica.
Per ricostruire il concetto di associazione occorre primariamente tener conto di come il regime dei fenomeni associativi è stato disciplinato positivamente, considerando che la nostra Costituzione, pur menzionando le associazioni in quanto tali (ad. es. nell’art. 18, comma 2 Cost.), ha poi scelto per definire la corrispondente situazione giuridica soggettiva del “diritto di associarsi”, piuttosto che quella, presente in altre Costituzioni, anche coeve, che si riferisce al “diritto di formare associazioni”[16].
Un esempio della complessità della problematica ricostruttiva si coglie considerando il dibattito relativo alla distinzione tra diritto di associazione e di riunione a partire dall’epoca statutaria, in cui la riunione e l’associazione venivano, prevalentemente, distinte in base al criterio della durata di tale unione, relativamente alla quale la temporaneità o simultaneità veniva considerata un connotato della prima, mentre la permanenza o la stabilità avrebbero contraddistinto la seconda[17].
Il riferimento alla “permanenza” esprimeva l’escamotage logico per rappresentare in modo tangibile la realtà del legame associativo, capace di rappresentare l’ “immaterialità” propria e tipica dell’unione associativa.
Però, nemmeno considerando l’ulteriore aspetto della fase di azione dell’“associazione” ormai formata avrebbero potuto emergere i tratti distintivi del fenomeno associativo, perché sul piano teoretico una simile prospettiva avrebbe, da un lato, azzerato la specifica individualità del gruppo, ridotto alla mera sommatoria dei suoi membri (e delle azioni di questi), e dall’altro avrebbe impedito all’ordinamento una qualificazione (ed eventualmente un repressione) del fenomeno associativo, prima della messa in opera concreta dei fini sociali[18].
Cosicché una definizione più consistente dell’associazione si sarebbe potuta dare solamente approfondendo la sua dimensione meramente ideale, in particolare con la messa a fuoco progressiva della specifica qualità e struttura delle unioni intersoggettive[19].
La riflessione allora si appuntò sulle peculiarità del fenomeno che consentissero di svelarne l’intima struttura ed in questo senso un punto di partenza fu costituito dalla sottolineatura della particolare forza in grado di sprigionarsi a seguito della costituzione del vincolo associativo.
Una forza che si esprime prima di tutto nei confronti degli associati, i quali risulterebbero vincolati da “un obbligo morale”, soprattutto “per la grande influenza dell’associazione sull’eccitazione e l’esaltazione degli animi, i quali, una volta commossi, sono capaci dei maggiori eccessi, anche per cause futilissime”[20].
È evidente che tali considerazioni fossero particolarmente accentuate in momenti storici particolarmente movimentati e drammatici, e d’altra parte questo si comprende se si considera che gli effetti dell’esistenza di un’associazione non si producono esclusivamente sui suoi membri, ma si riverberano anche sui terzi, in quanto “le associazioni rappresentano ed esercitano un grande potere morale nel paese”, sviluppando una presenza reale e percepibile, una “potenza sociale”[21].
Allora, proprio in quanto si tratta di manifestazioni collettive, la forza si esprime a prescindere dalla forza e dalle capacità materiali riconducibili all’insieme degli aderenti.[22]
E questo risulta ancora più palese nelle riflessioni sulle associazioni vietate, illecite o comunque sottoposte a limiti, rispetto alle quali, soprattutto in epoca di cultura liberale, si pone il problema di giustificare specifiche misure repressive e preventive. All’associazione si distacca dalle singole volontà che l’hanno posta in essere, si ipostatizza in una realtà distinta, in una realtà dotata di esistenza in certa misura indipendente dalle singole manifestazioni di adesione o di azione delle persone che la compongono, poiché il solo costituire una associazione di tal genere, è già un principio di esecuzione, è già cosa che esorbita dalla sfera delle idee per entrare in quella dei fatti[23].
Dunque, se l’impatto sociale dei fenomeni associativi contribuisce a definirne la peculiare forza ideale, meno scontata appare la riflessione dottrinale sugli elementi che attestano la concreta sussistenza di un’associazione e del vincolo che lega i soci.
Chi non si volesse limitare al criterio minimale dell’accordo tra due o più persone per il perseguimento di un determinato fine, si vedrà costretto a constatare l’assenza di un unanime consenso su quali debbano considerarsi gli altri elementi strutturalmente essenziali dell’associazione.
Per portare alcuni esempi, se considerassimo carattere distintivo di un’associazione l’esistenza di un atto costitutivo, ciò escluderebbe dal concetto proprio molte delle associazioni più temute (quelle illecite)[24]; oppure se prendessimo in considerazione il criterio della disponibilità di mezzi patrimoniali, questa costituirebbe una mera eventualità.
Così, per trarre definitivamente una conclusione, si può dire che la riflessione sul fenomeno associativo debba la propria definitiva maturazione al prodursi di quel contesto teorico rappresentato dallo sviluppo delle dottrine pluralistiche[25].
Una volta, cioè, resasi definitivamente chiara l’autosufficienza di determinati fenomeni rispetto alla valutazione di essi compiuta da parte dell’ordinamento statuale ed appuratasi la circostanza che tali fenomeni possano esistere, anche nella propria qualità di fenomeni eminentemente giuridici, al di fuori del diritto dello Stato, doveva risultare sempre più evidente che, fatta eccezione per le unioni antagonistiche rispetto allo Stato[26], le aggregazioni sociali potessero collocarsi rispetto al diritto statuale o per richiedere una “garanzia di esistenza” di fronte ai pubblici poteri ed ai privati o per ottenere una “garanzia di azione” nel mondo del diritto (con o senza personalità giuridica).
Una traccia evidente dei risultati così raggiunti nell’evoluzione della dottrina giuridica dell’epoca precostituzionale si riscontra nei contributi sul tema specifico delle associazioni forniti da Carlo Esposito e Vezio Crisafulli.
Al primo si deve, in particolare, la valorizzazione dell’anteriorità, logica prima che giuridica, dell’esperienza materiale dell’associarsi rispetto ad ogni riconoscimento e potenziamento che possa derivare dall’ordinamento[27].
Altrettanto interessante è il contributo offerto da Crisafulli circa la definizione alternativa tra associazioni meramente lecite ed associazioni obbligatorie, là dove queste ultime non vanno confuse con quelle la cui costituzione rappresenta l’oggetto di uno specifico obbligo giuridico, ma sono tali perché produttive di effetti giuridicamente obbligatori[28]. Dunque non è sfuggita alla dottrina dell’eta statutaria la consapevolezza che il fenomeno associativo può svolgersi ad un duplice livello, giuridico e di fatto[29].
- Evoluzione legislativa
2.1. I diritti di libertà nello statuto Albertino
L’analisi dell’ esperienza costituzionale italiana, non può che assumere come primo punto di riferimento lo Statuto Albertino. Concesso da Carlo Alberto nel 1848, esso nasce come Costituzione del vecchio Regno di Sardegna per divenire, dopo l’unità d’Italia, senza subire alcuna variazione, la Costituzione del Regno d’Italia e rimane vigente, formalmente inalterato, fino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
Tuttavia possiamo dire che lo Statuto, nel corso degli anni e soprattutto con l’avvento del fascismo, rimase inalterato solo formalmente, poiché dal punto di vista sostanziale subì variazioni notevolissime ad opera della legislazione ordinaria, anche sul terreno dei diritti di libertà.
Dubbi sorgono se lo Statuto debba intendersi come una Costituzione flessibile o rigida.
Ogni Costituzione scritta, atto nel quale sono contenute le norme essenziali che identificano la forma di Stato e la forma di governo di un determinato ordinamento, costituisce, dal punto di vista giuridico, un unicum assolutamente non paragonabile agli atti di legislazione ordinaria e dunque da questi non modificabile, a meno che la Costituzione stessa non autorizzi espressamente a ciò una determinata fonte: la rigidità sarebbe quindi un carattere naturale delle Costituzioni scritte[30].
Lo Statuto Albertino dunque fu considerato dai suoi commentatori una Costituzione flessibile, anche se è altrettanto certo che esso non fu mai formalmente novellato in nessuna delle sue disposizioni.
Da un punto di vista sostanziale, lo Statuto era una Costituzione che esprimeva un patto tra la Monarchia e i gruppi dirigenti liberali rappresentativi della emergente borghesia.
Lo Statuto non disciplinava né un procedimento di revisione costituzionale, né individuava un organo a ciò competente, e tantomeno prevedeva un controllo di costituzionalità delle leggi, fu ritenuto conseguentemente che il Parlamento fosse il solo organo abilitato alle modifiche costituzionali, una sorta di costituente perpetua.
Per questo motivo fu rapidamente abbandonata l’idea di dar vita ad un’Assemblea costituente che avrebbe dovuto, ai sensi della legge n.747/1848, fissare le basi e le forme di una nuova monarchia costituzionale, con la dinastia dei Savoia.
2.2 Il periodo fascista
L’avvento del fascismo comprovò modificazioni profonde nel regime della libertà di associazione e nei rapporti tra associazioni e organizzazioni statale.
L’ordinamento corporativo, introdotto con la legge 3 aprile 1926, n. 563, rese evidente l’esigenza di superare l’antitesi fra società e stato e l’individualismo liberale nella subordinazione degli interessi collettivi all’interesse generale dello stato e nella loro immissione nell’organizzazione giuridica di questo[31].
All’inserimento delle associazioni professionali all’interno di strutture pubblicistiche si accompagnò una decisa repressione dell’associazionismo privato. In questa tendenza si inserisce la legge 26 novembre 1925, n. 2029, trasfusa poi nel t.u.p.s. del 1931 (artt. 209 e 212): originata dall’intento di colpire la massoneria e le sue infiltrazioni nei diversi rami dell’amministrazione dello stato, la legge introdusse un meccanismo di pubblicità per l’associazione, che l’autorità di p.s. aveva facoltà di rendere operante per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza pubblica[32] .
L’espansione dei poteri di prevenzione dell’autorità di p.s. fu poi completata dalla previsione del potere prefettizio di scioglimento delle associazioni contrarie agli ordinamenti politici costituiti nello stato (art. 210 t.u.), nonché dalla previa autorizzazione del ministero dell’Interno per la costituzione di associazioni a carattere internazionale[33].
Si trattava di un insieme di disposizioni destinato a colpire in modo particolare le associazioni politiche. In questo campo la garanzia del pluralismo contrastava radicalmente con il ruolo assegnato al partito unico di raccordo fra le corporazioni e gli organi di direzione politica dello stato fascista[34].
Nel codice penale del 1930, inoltre, accanto ai reati associativi già contemplati da quello del 1889, era presente la nuova figura criminosa dell’associazione sovversiva (art. 270): con tale disposizione, si reprimevano non già associazioni che si prefiggessero l’attuazione dei loro programmi mediante l’organizzazione di un’impresa criminosa, ma soltanto quelle che limitavano la loro attività alla diffusione delle idee, cioè all’affermazione teorica degli obiettivi politici che costituiscono il loro programma.
2.3 Il diritto di associazione nell’Assemblea costituente
La nostra Costituzione con l’affermare all’art. 18 che i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale ed aggiungendo che sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare e con le altre disposizioni che disciplinano fenomeni associativi (artt. 19, 29, 39, 49, ecc.) ha compiuto una scelta opposta a quella operata dallo Statuto, propendendo[35] per una disciplina espressa sia del diritto di associazione in generale che di quello finalizzato alla formazione di singoli tipi di raggruppamenti sociali[36].
In questa epoca era presente l’alternativa tra una disciplina più elastica della libertà in oggetto, che lasciava un margine maggiore all’intervento discrezionale dei pubblici poteri, secondo gli orientamenti delle maggioranze politiche titolari della potestà legislativa ordinaria e della direzione attraverso il Governo dell’amministrazione, ed una che delimitava l’ampiezza di intervento delle autorità statali sulle associazioni, circoscrivendone puntualmente, già in Costituzione, i relativi termini[37].
Il primo dei due orientamenti[38] era espressivo più che di una pregiudiziale diffidenza nei confronti dei gruppi[39] di un certo scetticismo circa la possibilità che, attraverso la sola disciplina giuridica dettagliata od elastica, si potesse adeguatamente arginare il fenomeno associativo nelle sue manifestazioni più pericolose. Sembrava riemergere, cioè, la convinzione dell’insufficienza delle regole giuridiche a codificare preventivamene le ipotesi di illiceità delle formazioni sociali[40].
Il fatto che tale orientamento[41] sia stato respinto, non può essere che una conferma della distanza della Costituzione rispetto all’ordinamento precedente[42].
La scelta nel senso di una dettagliata disciplina della libertà in questione non vale poi solamente a definire gli esatti contorni del rapporto tra garanzia costituzionale e possibilità di interventi in via legislativa, amministrativa o giudiziaria[43]. Essa è piuttosto l’espressione di un altro convincimento[44] determinatosi tra l’ordinamento precedente e quello repubblicano: quello per cui ad un regime incardinato sul riconoscimento di un’unica situazione di libertà, variamente articolata in una serie di manifestazioni tutte ugualmente ad essa riconducibili, si è sostituito un assetto fondato su di una pluralità di diritti di libertà, con la conseguenza della necessità di applicare canoni particolarmente rigorosi nella ricostruzione dei singoli diritti, attesa la natura tassativa del regime costituzionalmente assegnato a ciascuna di esse e dei relativi limiti.
- Il diritto di associarsi come libertà
3.1. La qualificazione dell’associazione e dei rapporti tra gli associati.
Una prima considerazione da cui partire è costituito dall’accoglimento del diritto di associazione come diritto di libertà, secondo quanto testualmente confermato dall’avverbio liberamente inserito nella disposizione di cui all’art. 18 Cost.[45].
Ne deriva una determinata strutturazione della situazione soggettiva così costituita, tale per cui secondo la prospettiva il diritto di libertà andrebbe ricostruito quale pretesa del titolare a non essere ostacolato nel godimento di una data sfera di interessi[46].
Trattandosi di una situazione statica, di tipo assoluto[47], l’accento viene posto sul dovere di astensione gravante in capo ai soggetti passivi del rapporto che sorge con il venire in essere del diritto di libertà.
Infatti[48], nelle situazioni inattive la fattispecie normativa ha per oggetto un comportamento che non è mai del soggetto pretendente o interessato, ma di un soggetto estraneo.
Cosicché, la pretesa è un attendere il comportamento altrui[49] e rappresenta il risvolto esterno dell’effettivo godimento del diritto, che si qualifica, pertanto, come situazione di tipo finale.
Proprio in base a tali premesse, quale che sia l’atteggiamento concretamente tenuto dal titolare rispetto alla sfera di interessi tutelata, questi verserà sempre in una situazione garantita, risultando del tutto indifferente se, ed in che direzione, egli faccia uso delle facoltà positive[50] che dal riconoscimento del diritto derivano[51].
Applicando tale ordine di pensiero al fenomeno associativo, è, dunque, possibile affermare che l’art. 18 Cost. mira a preservare da turbative il godimento degli interessi relativi a tutte le possibili manifestazioni concernenti l’unione interindividuale, nella quale, ogni fenomeno associativo si sostanzia.
Mediante le norme ricavabili dall’art. 18 Cost., l’ordinamento giuridico ha voluto qualificare come lecita, e costituzionalmente garantita, l’unione libera di due o più persone ovvero cittadini[52] che si propongano di perseguire congiuntamente un determinato fine[53].
Dall’affermazione costituzionale del diritto come libertà consegue, che il fenomeno associativo è preso in considerazione solo nella sua qualità di fatto materiale.
Se si ammette l’indifferenza del contegno del titolare del diritto ai fini del suo godimento non si potrà assegnare al formarsi dell’associazione altra conseguenza che quella di essere un indice rivelatore di una delle possibili concretizzazioni di tale godimento.
Così, il prodursi finale del fatto associativo non costituisce elemento indefettibile della fruizione del diritto.
La stessa formulazione dell’art. 18 Cost., infatti, sottolineando il momento dinamico dell’associarsi nel suo svolgimento, attesta, indirettamente, che l’attenzione è puntata sul diritto più che sul suo prodotto ed a prescindere dal venire in essere storico di questo con la conseguenza che anche il mero tentativo non riuscito di associarsi, così come il rifiuto di convenire idealmente in un gruppo, costituiscono manifestazioni di godimento tutelate.
Se, astrattamente, tale nozione serve per identificare l’area degli interessi che, con il riconoscimento del diritto si vogliono tutelare, il concreto godimento di questo non richiede che sempre, un associazione si costituisca e, soprattutto, che si costituisca nel mondo del diritto.
Ciò costituisce dunque una smentita dell’affermazione secondo cui il godimento della libertà di associazione si manifesta essenzialmente nella capacità, riconosciuta dall’ordinamento statale al titolare, di vincolarsi giuridicamente ad altri per dar vita a raggruppamenti che impegnano reciprocamente gli appartenenti.
Requisito essenziale per cui vi sia associazione[54] è dunque la presenza di un’organizzazione giuridica costituita da diritti e obblighi tra gli associati[55].
Conseguenza di tale convinzione sarebbe che il fenomeno in esame non si svolga, prima di tutto e necessariamente, sul piano del lecito materiale, ma che richieda irrevocabilmente (e non come mera eventualità) l’esercizio di un potere che consenta al titolare di proiettarsi nell’ambito del commercio giuridico.
A conferma di ciò vi è l’ampia disciplina normativa cui sono sottoposti anche sotto il profilo organizzativo interno i fenomeni associativi più diversi, sia a livello costituzionale (artt. 8,19,29,39, 49, XII disp. trans. e fin., ecc.)[56] che ordinario (a cominciare dal tit. II del libro I del codice civile), tanto che sorgono dubbi se il fenomeno in oggetto si possa esaurire esclusivamente nell’ambito indifferenziato del meramente lecito. Inoltre la dottrina civilistica ha ormai acquisito la conclusione secondo cui nessun fenomeno associativo, che pretenda di avere efficacia nel mondo del diritto, risulta sprovvisto di una qualche disciplina positiva[57], potendo, in ultima istanza, qualsiasi aggregazione plurisoggettiva venir qualificata, almeno in astratto, come espressione dell’autonomia privata[58].
Tali argomentazione sembrano piuttosto il frutto di un capovolgimento logico, dovuto all’utilizzo di categorie mutuate dalla legislazione ordinaria per l’interpretazione della disposizione costituzionale.
La questione più dibattuta è dunque se l’assetto articolato di compiti e ruoli nel gruppo, esprima necessariamente il risultato di un negozio (e in particolare un contratto) o accordo associativo stipulato secondo le norme e con le condizioni che disciplinano l’autonomia privata o se, viceversa, i rapporti tra gli associati possano eventualmente e, magari, volontariamente restare estranei all’ambito del possibile giuridico.
Si tratta, cioè, di appurare se i legami sorti dall’incontro delle volontà tra gli associati i quali possono pur sempre rivestire una intrinseca giuridicità alla luce dell’ordinamento interno dell’associazione debbano sempre e necessariamente avere la qualifica di vincoli giuridici efficaci nell’ordinamento dello Stato, o non possano darsi vincoli meramente sociali dal punto di vista statuale.
3.2. Il duplice livello di rilevanza dei fenomeni associativi per l’ordinamento: libertà ed autonomia.
Coerentemente con lo sviluppo del fenomeno associativo in prospettiva storica, si possono individuare due modalità di svolgimento del fenomeno associativo, a seconda che questo rimanga sul piano del meramente lecito o si proietti anche su quello del possibile giuridico[59].
Nel primo caso l’espressione associazione indicherebbe il mero fatto ideale conseguente al godimento in forma attiva del relativo diritto di libertà nulla impedendo, peraltro, che gli associati si sentano moralmente o socialmente obbligati, e, talvolta, ancora più obbligati di quanto non li farebbe sentire un vincolo giuridico convalidato dall’ordinamento generale. In questa prospettiva lo Stato limita la propria qualificazione di rilevanza considerando il fenomeno o lecito con tutte le garanzie, anche costituzionali, che ne conseguono o illecito stigmatizzandone cioè in termini negativi l’esistenza ed adottando un atteggiamento repressivo.
Nel secondo si fa invece riferimento al diverso[60] fatto giuridico, conseguente ad un negozio o accordo scaturente dall’esercizio di un potere di associazione[61]. L’associazione rappresenta allora, in quest’ultimo caso, l’insieme dei rapporti costituiti in forza dall’autoregolazione degli interessi compiuta dai soggetti nell’esercizio della propria autonomia, i quali danno vita ad un diritto nello Stato.
In conclusione sembra sostenibile l’affermazione secondo cui l’esistenza di un negozio associativo mediante il quale due o più soggetti danno vita ad una regolazione giuridica dei propri rapporti per il perseguimento di un determinato fine con l’ulteriore possibilità di agire nel mondo del diritto in quanto associati o addirittura attraverso la distinta personalità giuridica dell’associazione sia solo un’eventualità offerta e regolata dal diritto.
3.3. Il contenuto della libertà
L’art. 18 Cost. nel suo contenuto caratteristico garantisce dunque l’interesse dell’uomo ad aggregarsi ad altri per dar vita a un’unione ideale individuata come scopo in sè, ovvero caratterizzata da un fine ulteriore e dalla volontà di perseguirlo congiuntamente[62].
Si tratta, cioè, di constatare che accanto all’interesse a disporre della propria persona, a manifestare liberamente il proprio pensiero, a riunirsi fisicamente in un determinato luogo, ecc., il costituente ha voluto riconoscere e tutelare l’interesse del singolo a dar vita a fenomeni plurisoggettivi, anche se non fisicamente tangibili[63], considerando l’esigenza dell’associarsi[64] e del sentirsi reciprocamente uniti ad altri[65] ed in altri rispecchiarsi[66] anche eventualmente per operare congiuntamente nel perseguimento di uno scopo comune o per rafforzare e consolidare i propositi di azione atteggiamenti caratteristici della natura umana, meritevoli della più ampia protezione[67].
Alla luce di queste premesse è possibile tracciare una prima linea di confine della sfera materiale sottesa al riconoscimento della libertà di associarsi.
Attesa, infatti, la caratterizzazione non fisica del fenomeno associativo e la sua consistenza specifica nell’unione ideale connotata teleologicamente di due o più persone, la tutela costituzionale riguarderà l’insieme degli interessi attinenti: a) alla libertà nella promozione di tale unione; b) alla determinazione reciprocamente coordinata degli aderenti in ordine ai fini ulteriori che ad essa vorranno assegnarsi; c) alla scelta di adesione o di recesso; d) alla autocomprensione di ciascun appartenente come associato ed alla eventuale ostentazione di questa qualità anche all’esterno del gruppo, all’affermazione cioè di essa come elemento che contribuisce a connotare la propria personalità e posizione sociale. Inoltre, la circostanza che, il costituente si sia espresso in termini che accentuano 1’associarsi, piuttosto che il formare associazioni, consente di liberare il concetto da qualsiasi riflesso condizionato motivato dal riferimento a questo o quel fenomeno associativo storicamente o socialmente sperimentato, ovvero legato alla presunzione della necessità di elementi strutturali ulteriori per potersi parlare di associazione.
Al contrario, accentuando la dimensione soggettiva dell’azione di unirsi degli uomini gli uni agli altri, la Costituzione ha contemporaneamente ribadito l’ampiezza dello spettro dei fenomeni sussumibili nell’area tutelata, escludendo che si debba andare alla ricerca di caratteri ulteriori quali il numero, la stabilità del rapporto, una certa complessità organizzativa, l’esistenza di una dotazione di mezzi per identificare e inevitabilmente restringere l’oggetto della garanzia.
Al contrario, l’associarsi consiste e si esaurisce, nella sua manifestazione più elementare: nell’unione ideale tra due o più persone per un certo fine, cosicché il numero, l’organizzazione, i mezzi, la durata, costituiscono eventuali variabili di quella premessa.
E se, dunque, la costituzione di un’associazione per la ricerca scientifica in un contesto ambientale particolarmente complesso e avverso, richiederà che il vincolo ideale venga accompagnato dall’adesione di un numero consistente di membri, dalla determinazione di un’organizzazione minuziosamente pensata, dalla predisposizione di mezzi idonei a realizzare la complessità dell’obiettivo[68], la relazione affettiva, anche occasionale, il sodalizio intellettuale tra amici, richiederanno, per l’associarsi, poco più della semplice unione[69]. E allo stesso modo, solo accogliendo in un significato molto relativo l’esigenza di un minimum organizzativo si potrà comprendere tra le forme dell’associarsi l’unione sentimentale, quale che ne sia l’eventuale forma giuridica[70].
Se dunque, nessuno dei caratteri evocati in dottrina per definire il fenomeno associativo, ancorandolo a profili di più apprezzabile materialità, si dimostra di per sé necessario, appare ulteriormente accreditata la tesi che la Costituzione italiana avrebbe accolto una fattispecie estremamente ampia, anche se non generica, del diritto di associarsi, identificandola essenzialmente nell’insieme di manifestazioni connesse ad un qualsiasi accordo (all’incontro, cioè, di volontà naturalisticamente inteso e non necessariamente verbalizzato in dichiarazioni) tra due o più persone, nel quale si manifesti la volontà (l’animus) di unirsi reciprocamente, poco importa se in modo effimero, occasionale[71] o stabile, organizzato o spontaneo, per operare o per contemplare, per perseguire fini ulteriori o per realizzare il fine in sè costituito dall’associarsi[72].
In definitiva, il Costituente ha fatto del diritto di associazione un istituto cardine del sistema delle libertà, idoneo a preservare quella particolare sfera di interessi che garantisca la proiezione ideale sul piano propriamente interpersonale o sociale, allo scopo di realizzare uno qualsiasi dei propri bisogni, in quanto non precluso direttamente o indirettamente dalla Costituzione[73].
In questa prospettiva, i fenomeni associativi divengono potenzialmente illimitati, pur senza smarrire il proprium che li caratterizza come occasioni in cui si manifesta consapevolmente la dimensione ultraindividuale dell’uomo, teleologicamente orientata.
3.4. Il rapporto tra la libertà di associazione e altre libertà costituzionalmente garantite
L’ordinamento, non punta a potenziare le possibilità umane accompagnando a tali possibili manifestazioni associative delle conseguenze giuridiche particolari, ma garantisce le condizioni di esplicazione delle facoltà materiali dell’uomo connesse all’associarsi (o al non associarsi), negando, salvo le eccezioni consentite, la liceità e la legittimità di ogni comportamento o atto che mirasse ad impedirle o semplicemente a turbarle.
Il diritto di associazione viene dunque inteso, come già sostenuto in epoca pre-costituzionale, quale libertà e trova altresì spiegazione anche se non giustificazione sia l’espediente lessicale utilizzato tradizionalmente[74] nella qualificazione di tali diritti in termini di situazioni negative, sia l’equivoco di considerare le singole facoltà in cui può manifestarsi il godimento di un diritto di libertà come irrilevanti[75] o non regolate dal diritto[76].
In tali criteri si confonde, infatti, il riconoscimento e la precisa rilevanza del diritto soggettivo di libertà con l’irrilevanza o la non necessaria rilevanza giuridica dei rapporti interindividuali che in conseguenza del godimento del diritto si possono determinare[77]. Infatti[78], il riconoscimento di un’area di interessi garantita da ingerenze esterne non significa proclamare l’estraneità al diritto dello spazio di libertà tutelato che già per la tutela stessa è in qualche modo giuridicamente rilevante, ma serve semplicemente a ricordare che delle libertà garantite si può godere anche con comportamenti materiali, o meglio sociali, come tali non destinati a produrre direttamente ed intenzionalmente effetti giuridici[79].
Infine, sempre in termini generali con riferimento alla struttura dei diritti di libertà proprio le considerazioni in ordine alle caratteristiche peculiari di tali situazioni soggettive confermano l’intuizione secondo cui l’area sulla quale esse insistono sia quella del lecito materiale piuttosto che del possibile giuridico[80].
È ovvio che la situazione di libertà è il presupposto per l’esercizio di un potere e che il potere è finalizzato ad una più completa realizzazione di una libertà, ma ciò non toglie che si tratti di due situazioni distinte che attengono a sfere diverse dell’esperienza giuridica e si svolgono in ambiti non necessariamente coincidenti per la soddisfazione di interessi diversi, anche se non necessariamente alternativi. L’una attiene alla sfera delle attività o inattività materiali, l’altra a quella delle attività giuridiche[81].
Tale distinzione d’altra parte corrisponde esattamente alle differenti modalità con le quali il fenomeno associativo può essere qualificato giuridicamente[82].
Ad un primo livello, infatti, il gruppo può essere preso in considerazione nella sua mera esistenza, indipendentemente dalla natura dei rapporti che si sviluppano al suo interno ed indipendentemente dal fatto che tali rapporti possano, dal punto di vista del gruppo stesso, rivestire una intrinseca giuridicità[83].
Nel caso in cui le manifestazioni costitutive di tale fenomeno che si potrebbe dire esistenzialmente ordinamentalesiano espressamente garantite dal diritto statuale si avrà il riconoscimento di una situazione di libertà, che non potrebbe essere altro che giuridica, proprio perché riconosciuta e garantita.
Ma la qualificazione dello Stato può andare anche oltre. Ciò avviene quando il fenomeno associativo non rileva solo nella sua oggettività fenomenica, come esplicazione delle facoltà umane di associarsi in quanto tali contenuto di una libertà[84].
Quando, cioè, l’ordinamento statale riconosce la capacità negoziale di produzione giuridica dei privati, assegnando ai rapporti costituiti nell’ambito dell’associazione o in occasione dell’associazione la specifica qualificazione di rapporti giuridici[85].
In questo caso, dunque, le manifestazioni normative interne al gruppo danno luogo a vincoli operanti nell’ordinamento dello Stato[86] e tutelati dai suoi giudici e dagli altri operatori giuridici[87]. In questo secondo caso la libertà non cessa di essere tale, per le sue caratteristiche identiche o analoghe all’ipotesi precedente, ma ad essa si aggiunge anche un distinto potere[88].
Si può così, conclusivamente, affermare che proprio la chiarificazione della distinzione tra libertà e potere consente di porre i presupposti teorici per andare al di là delle sistemazioni maturate in epoca statutaria e fondate sulle due coppie concettuali, ugualmente discutibili, di libertà giuridica e libertà di fatto; di associazioni permesse e associazioni né permesse né vietate[89].
3.5. il problema della c.d. libertà negativa di associazione
Il fatto che un determinato fenomeno in questo caso l’organizzazione sia giuridicamente rilevante non implica che i comportamenti che ne sono alla base siano assunti dall’ordinamento come atti volontari intenzionalmente rivolti e perciò appositamente tutelati alla produzione di modificazioni anche nel mondo del diritto.
E la circostanza che l’organizzazione sia, in sè, strutturata intorno ad un corpus normativo proprio, che i membri sono tenuti a rispettare, non costituisce una smentita di questa affermazione[90].
Una conferma dell’esattezza di tale conclusione sembra venire proprio dal testo dell’art. 18 Cost[91].
Questo, infatti, dichiarando alcune associazioni illecite, postula evidentemente l’esclusione del carattere giuridicamente obbligatorio dal punto di vista statuale dei rapporti tra i membri di esse[92].
Infatti se si partisse dal presupposto che, viceversa, la nozione di associazione presupponga per definizione la costituzione di legami giuridici tra i soci, si giungerebbe al paradosso che le associazioni illecite debbano ritenersi delle non-associazioni[93], in quanto minate fin dall’origine dalla impossibilità giuridica della loro valida formazione[94].
[1] Si pensi alla problematica delle associazioni politiche in epoca statutaria.
[2] 0, in ipotesi, dissimulati.
[3] Sulla causa del contratto la letteratura com’è noto è vastissima. Con riferimento all’orientamento richiamato nel testo. cfr., per tutti, Gazzone f., Manuale di diritto privato, Napoli, 2005, pp. 755 ss. e Sacco r., La causa, in Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, Torino, 1995, pp. 298 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici. Sul punto, con specifico riferimento alla causa nei fenomeni associativi, in prospettiva civilistica: Ferro – Luzzi p., I contratti associativi, Milano 2001., pp. 280 ss.
[4] Una impostazione sostanzialmente corrispondente sembra rinvenirsi in Abbamonte c., Note sul problema costituzionale dell’autonomia privata, in Comitato Nazionale per la celebrazione della Costituzione, Milano, 1958, pp. 191 ss.
[5] In questo senso, da ultimo, anche Corte Cost. sent. 50/1998.
[6] Nel primo senso, Sica v., Le associazioni, Roma, 1992, pp. 47 ss.; nel secondo, Bartole s., Problemi costituzionali, Milano 1970, pp. 33 ss.; Pace a., Problematica delle liberta costituzionali. Parte generale Padova 2003 , p. 342, nonché Galgano f., L’ impresa, le società in genere, Padova 2004 pp.8 ss. Sulle evoluzioni del problema anche Rigano f., La liberta assistita: associazionismo privato e sostegno pubblico nel sistema costituzionale, Padova 1995 p. 32 ss.
Tra gli altri, nella dottrina civilistica, anche Falzea a., Brevi note sui caratteri differenziali tra società e associazione, in Giur. cost, 1947, p. 987; Ascarelli t., Riflessioni in tema di consorzio, mutue, associazioni e società, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1953, p. 327; Ferri g., Società (in generale), in Nss. dig. it., Torino, 1970, pp. 532 ss., il quale considera la società una species nel genus delle associazioni. Peraltro, per la considerazione, anche sul piano civilistico, della progressiva attenuazione delle differenze tra tipo societario e associazioni in senso stretto, in corrispondenza del sorgere di una pluralità di figure intermedie e di combinazioni tra i modelli organizzativi e funzionali ed il loro regime giuridico, Levi g., Le formazioni sociali, Milano 999 pp. 101 ss.
[7] Esposito c., Lo Stato fascista, op. cit., pp. 93 ss.
[8] Esposito c., Lo Stato fascista. op. cit., pp. 107 ss.
[9] Esposito c., Lo Stato fascista. op. cit ., pp. 115 ss.
[10] Esposito c., Lo Stato fascista. op. cit ., pp. 115 ss.
[11] Così, infatti, Esposito c., La libertà di manifestazione, op. cit., pp. 50 ss.
[12] Affermare l’appartenenza delle fattispecie di concorso all’area dell’associarsi non significa ovviamente confondere le due distinte fattispecie sul piano penalistico. Sul problema. Nella dottrina penalistica per tutti con ricca documentazione bibliografica, De Francesco g., Societas sceleris, Napoli, 1981, p. 112.
[13]Esposito c., Lo stato fascista op. cit., p. 111.
[14]Esposito c., Lo stato fascista, op. cit, p. 113.
[15] Ciò che invece Esposito c., nello scritto su Lo Stato fascista, p. 113, espressamente nega.
[16] Cfr., ad es., art. 56 Cost. svizzera; art. 124 Cost. di Weimar e art. 9 GG. Nello stesso senso della costituzione Belga, invece, l’art. 39 Cost. spagnola del 1831. Proclama semplicemente la garanzia del diritto di associazione la Cost. dèi Paesi Bassi del 1887.
[17]Sottolineano questo aspetto, ad esempio, Palma L., Corso di diritto costituzionale, Firenze, 1885, III, 193 ss.; Arangio ruiz, G., Istituzioni di diritto costituzionale italiano, Milano 1913, 167; Brunalti, A., Associazione, in Dig. Ital., Torino 1893, 45 (secondo il quale L’associazione è un fatto molto distinto e diverso dalle pubbliche riunioni. Parecchie persone si trovano assieme e si propongono uno scopo comune permanente, che non può comunque raggiungersi in una sola riunione.
[18] Sulla dottrina e la legislazione, soprattutto penalistica, volta a distinguere i requisiti per l’esserci della (ed il partecipare all’) associazione dalle (eventuali) attività attuative dei fini sociali, cfr. ad es., De francesco, G., I reati di associazione politica, Milano, 1985.
[19] L’associazione è diventata un bisogno, un fenomeno universale dell’umanità civile, il prodotto più alto dell’autodeterminazione dell’individuo, una forza creatrice, che rende possibili le opere e le imprese più meravigliose nei vari campi dell’umana attività, un grande fattore della vita collettiva.
[20] Brunalti, A., Associazione, cit., 36; Racioppi, F. e Brunelli, I., Commento, allo Statuto del Regno, II, Torino 1909, 203, i quali mettono in luce come il reciproco influsso inebria i congregati, e produce a un tempo una specie di raddoppiamento fisico delle persone e una specie d’assopimento del senso di responsabilità.
[21] Arangio ruiz, G.,Associazione,(diritto di), in Encicl. Giur. It., Milano 1895, 872.
[22]Problemi ricostruttivi della nozione costituzionale di associazione: premesse teoriche e storiche.Nota 39.
[23] Racioppi, F. e Brunelli, I., Commento,cit. 229.
[24] Cfr., infatti, De mauro G, Cospirazione politica, in Nov. Dig. it., IV, Torino, 1938, il quale significativamente afferma: Sarà forse superflua l’osservazione che quando si parla di cospirazione per associazione non bisogna intendere che per aversi delitto bisognerà trovarsi di fronte a una società costituita con ogni regola e formalità: si intende che è necessaria e sufficiente una qualsiasi associazione di fatto che si proponga quel determinato fine.
[25] In questo senso cfr. le considerazioni di Vincenzi amato D., Associazione (diritto), in Enc. sc. soc., Roma, 1991, I, 396.
[26] Per le quali il discorso è diverso.
[27] Esposito C., Lo stato fascista , cit. 23.
[28] Contuzzi F., Trattato di diritto costituzionale , Torino 1895.
[29] Problemi ricostruttivi della nozione costituzionale di associazione: premesse teoriche e storiche.Nota 165.
[30] Pace a., La libertà di riunione nella Costituzione italiana, Milano, 1967, pp. 30 ss.
[31] Chiarelli g., Lo stato corporativo, Padova, 1936, p. 115.
[32] Aquarone a., L’organizzazione dello stato totalitario, Torino, 1965, pp.69 ss.
[33] Art. 211; sulla sopravvivenza di questo complesso normativo dopo l’entrata in vigore della costituzione.
[34]Zangara v., Il partito e lo stato, Catania, 1935, pp.104 ss.
[35] Per la consapevolezza della novità rispetto alla tradizione precedente, l’intervento del Relatore On. Basso nella seduta dell’Assemblea costituente del 10 Aprile 1947, in Camera dei Deputati, Segretario Generale , Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori, Roma, 1970, p. 756. In generale sul dibattito in assemblea costituente in relazione alle disposizioni che riguardano fenomeni associativi. Ridolla p., Democrazia pluralistica, Torino, 1975, pp. 188 ss.; nonché con riferimento all’art. 2 Cost. Rossi e., Le formazioni sociali nella Costituzione italiana, Padova, 1989, pp. 30 ss. In particolare sulla genesi della formula relativa ai limiti del diritto di associazione Mortati c., Relazione sui diritti pubblici soggettivi, ora in Studi sul potere costituente della riforma costituzionale dello Stato. Raccolta di scritti, Milano, 1972, p. 66°.
[36] Cfr., infatti, prima di tutto gli artt. 19, 39, 49 Cost.
[37] Ad un esito del primo tipo avrebbero condotto talune soluzioni propugnate in Prima Sottocommissione ad es. da La Pira, Moro, Mastrogiovanni. In senso opposto di fronte a proposte volte a sancire espressamente il limite generale delle libertà garantite dalla Costituzione (La Pira) o delle libertà fondamentali dell’uomo ovvero delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione (Moro) in base alla consapevolezza che, al di là del riferimento alla riserva di legge penale aggiungere qualsiasi altra cosa, o sarebbe pleonastico o verrebbe a dire qualche cosa di più di quello che si intende di dire, con conseguenza imprevedibili cfr., l’intervento, in Prima Sottocommissione, dell’On. Basso, in Camera dei deputati, segretariato generale, Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori, VI, Roma, 1971, p. 424. Da notare che la stessa alternativa si era già posta in sede di Commissione Forti: cfr. infatti l’intervento di Mortati c., nella relazione cit., p. 355.
[38] È da notare che i due opposti orientamenti annunciati rappresentavano una costante nel dibattito costituente in tema di diritti e di libertà. Per questa considerazione, infatti, il citato intervento del relatore On. Basso in Camera dei Deputati, Segretariato Generale, Costituzione, op. cit., p. 754, e più indirettamente quello del presidente della stessa sottocommissione On. Tupini, ivi, p. 757. E’ da dire che se, a seconda dei singoli diritti è prevalso maggiormente l’uno o l’altro orientamento, le disposizioni sulla libertà di associazione si collocano senz’altro più risolutamente nella direzione di un forte contenimento degli interventi sub-costituzionali.
[39] Cfr., infatti, l’intervento di Moro, nella seduta antimeridiana del 25 settembre1946 della Prima sottocommissione della Costituente, il quale per rassicurare contro i timori che la formula dell’inciso proposto da La Pira avrebbe potuto giustificare il divieto delle associazioni socialiste, propugnatrici del superamento del diritto di proprietà, che la Costituzione si apprestava a garantire ed al quale quindi il diritto di associazioni sarebbe dovuto essere subordinato precisava che a nessuno passa per la mente di proibire movimenti che tendono ad adeguare la struttura del diritto di proprietà alle esigenze solidaristiche (in Camera dei deputati, segretariato generale, Costituzione, op. cit., VI., p. 423).
[40] Cosi in Camera dei deputati, segretariato generale, Costituzione, op. cit., VI, p.423.
[41] Espresso, come più sopra ricordato, da una proposta dell’On. La Pira (Relatore, su questa materia, insieme all’onorevole Basso) volta a stabilire una generale subordinazione della libertà di associazione al rispetto delle altre libertà garantite dalla Costituzione.
[42] Distanza testimoniata in modo evidente anche dal Parere reso dal Consiglio di Stato a proposito del riconoscimento della libertà di associazione in Costituzione; parere che appare agli antipodi rispetto agli orientamenti manifestati da tale organo in epoca statutaria, il Consiglio di Stato considera in proposito che il diritto di associazione è un diritto fondamentale di libertà, ma che manca nel diritto italiano una norma generale che espressamente lo riconosca. Bisogna certamente introdurla nella nuova Carta Costituzionale, ma ciò deve essere in forma positiva e non come semplice rinvio alle norme delle leggi generali e speciali. Al solo scopo di concretare il suo pensiero, il Consiglio propone la seguente formula: “tutti i cittadini italiani hanno il diritto, per scopi che non contrastino con le leggi penali, di formare delle associazioni”. Questo diritto non può essere subordinato nel suo esercizio da alcun obbligo di preventiva autorizzazione o dichiarazione. Nella formula proposta non si parla di oggetto illecito, contrario alle leggi o all’ordine pubblico o al buon costume, perché questo riferimento elastico da un margine all’esercizio di un’ampia potestà di valutazione discrezionale da parte delle autorità statali quali che esse siano e affievolisce il diritto di chi si intende tutelare. All’incontro il contrasto con la norma penale è sempre deciso e definitivo. L’esercizio del diritto di associazione non è subordinato, nella formula proposta, ad autorizzazioni o anche a semplice dichiarazione preventiva, con le quali l’autorità possa prendere o no atto. Può essere utile un rilievo. Una volta che la Carta Costituzionale abbia riconosciuto e dichiarato il principio di libera associazione, non rimara nel nostro diritto che associazione consentita e associazione vietata o illecita”, On. Basso, in Prima sottocommissione e citato da Camera dei Deputati, Segretariato Generale, op. cit., VI, p. 425.
[43] Che il riconoscimento della rigidità costituzionale costituisce il fondamento più solido per i diritti di libertà è cosa talmente acquisita da non meritare ulteriore commento. Zagrebelsky g., Il diritto mite, Torino, 1992, p. 95. Come è stato messo in luce da Grossi p.f. Diritti di libertà, Torino, 1991, pp. 150 ss., che proprio alle vicende connesse all’affermazione della rigidità costituzionale consentono di svelare con maggiore evidenza le apodie del pensiero liberale poste di fronte alle difficoltà di evidenziare un solido fondamento delle libertà restando prigioniero del dogma di una sovranità dello Stato che tale libertà, da un lato, mediante un’autolimitazione, avrebbe dovuto fondare, ma, dall’altro, avrebbe pottuto continuamente minacciare fino a revocarla. È dalla messa a fuoco della dissociazione tra la sovranità assoluta che si esprime essenzialmente nel potere costituente della Comunità statale e la sovranità, per così dire costituita, quale suprema istanza decisionale all’interno dell’ordinamento che si coglie la svolta fondamentale in tema di fondamento e garanzia dei diritti e libertà.
[44] Grossi p.f., I diritti,op. cit., 1972, p.180.
[45] La qualità di situazione giuridica espressamente tutelata vale, innanzitutto, a scongiurare esplicitamente, rispetto ad essa, ogni ricostruzione non esclusa in epoca statutaria in termini di libertà di fatto, peraltro, inattendibile come categoria teoretica di tipo generale,Grossi p.f., I diritti, op. cit., pp. 181 ss.
Occorre considerare che la natura di diritto di libertà non avrebbe potuto automaticamente farsi discendere dalla esclusione di autorizzazioni, sancita dall’art. 18 Cost. Infatti, seppure fosse largamente diffusa nella dottrina di epoca statutaria la convinzione dell’incompatibilità tra regime autorizzatorio tale opinione è stata convincentemente confutata, con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, ma con argomentazioni suscettibili di generalizzazione. Quanto detto non rende perciò affatto pleonastica la previsione che, in Italia, la libertà di associazione non sia sottoponibile ad autorizzazioni.
Per un caso di applicazione giurisprudenziale della specifica garanzia di cui si è parlato, sent. Corte Cost. n. 239/1985 che ha annullato l’art. 273 c.p. e, in via consequenziale, l’art. 274 c.p. nonché l’art. 211 T.U.L.P.S., in quanto prevedevano l’incriminazione della costituzione e della partecipazione ad associazioni internazionali non previamente autorizzate dal Governo.
[46] Grossi p.f., I diritti di libertà, 1972, pp. 236 ss. e la dottrina ivi citata, nonché D’Atena a., Profili costituzionali dell’autonomia universitaria, in Giur. cost., 1991, p. 2973. Per la diversa ricostruzione della libertà come agere licere, e le conseguenti implicazioni, per tutti, Pace a., La libertà di riunione nell’ordinamento italiano, Milano, 1967, pp. 107 ss. Sostiene, invece, che i profili della libertà e del potere siano compresenti in ogni diritto di libertà, sebbene con alterne prevalenze dell’una o dell’altro, a seconda dei singoli diritti riconosciuti.
[47] Per l’assolutezza come caratteristica dei diritti di libertà cfr., per tutti, Grossi P., I diritti di libertà, cit., 256 s.
[48] Guarino g., Potere giuridico e diritto soggettivo, Milano, 1990, p. 37.
[49] Guarino g., Potere giuridico e diritto soggettivo, op. cit., p. 42.
[50] Grossi p., I diritti di libertà, op. cit., p. 242.
[51] L’ordinamento nel configurare la previsione di una situazione di libertà prescinde completamente dal comportamento del suo destinatario e non prende in alcuna considerazione il fatto che egli agisca o non agisca, ma unicamente impegna ad un generale dovere di rispetto tutti gli altri soggetti pubblici e privati ed alla condotta di questi fa esclusivo riferimento , dando, inoltre, diffusamente conto della letteratura in argomento.
[52] Sul significato del limite soggettivo nel riconoscimento di tale diritto, Pace, Commento all’art. 18, in Commentario della Costituzione a cura di Branca, Roma, 1977, 194.
[53] Bartole s., Problemi costituzionali, op. cit., pp. l ss. A questi fini si potrebbe dire che il minimo comun denominatore delle principali dottrine che si contendono la definizione della libertà di associazione sia che il suo oggetto è rappresentato dal diritto a perseguire congiuntamente un determinato fine. Sull’elemento teleologico nell’individuazione del concetto di associazione; Barile p., Associazione (diritto di), in Enc. dir., Milano, 1958, pp. 838 ss.
[54] Sulla efficacia giuridica del vincolo nascente tra coloro che si associano per fini leciti, tale per cui esso “obbliga” i soci a restare uniti per un periodo di tempo determinato o indeterminato Pace a., Problematica, op. cit., pp.339 ss.; Mazziotti Di Celso m., Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1991, p. 293.
[55] Galgano f., Le società in genere. Le società di persone, in Trattato di diritto commerciale XXVIII, Milano, 1982, il quale a proposito delle associazioni di cui all’art. 18 Cost., sottolinea che esse prendono vita da un atto di autonomia contrattuale; la loro azione forma oggetto di un impegno reciprocamente assunto dai loro membri per contratto. La loro costituzione e la loro azione diventano espressione di una specifica libertà costituzionalmente garantita: dalla libertà di associazione appunto. Più sfumata è, invece, la posizione di Rescigno p., L’autonomia dei privati, ora in Persona e Comunità, Padova, 1988, pp. 432 ss., il quale pur sembrando utilizzare in senso tendenzialmente sovrapposto di libertà ed autonomia negoziale, coglie come l’art. 18 Cost. non valga a tutelare integralmente il fenomeno contrattuale, ma si limiti a garantire innanzi tutto il se del contratto. Tra i costituzionalisti, colloca il diritto di associazione tra quelli che anche se non esclusivamente, si risolvono nel compimento di atti giuridici. Tale affermazione pare, peraltro, mitigata là dove si afferma che per l’associarsi, possa essere sufficiente la capacità naturale, intesa quale concreta capacità di autodeterminarsi in relazione ad una data attività materiale e, salva la precisazione che, in tali casi, potrebbero entrare in considerazione aspetti patrimonialmente rilevanti, il pagamento della quota associativa, che richiedono la rappresentanza legale dei genitori e del tutore là dove, con riferimento alle libertà che implichino il compimento di atti giuridici si menziona bensì la libertà di associazione, ma per gli aspetti patrimoniali eventualmente rilevanti. Sempre nel senso che il diritto di associazione si atteggia infatti come libertà di porre in essere un’attività negoziale cosicché costituisce l’unico esplicito riconoscimento di rango costituzionale di un diritto di autonomìa contrattuale;Rigano f., La libertà assistita, Padova, 1995, pp. 1 ss. Nello stesso senso, esplicitamente, identificando libertà ed autonomia, Leondini g., Associazioni private di interesse generale e libertà di associazione. I Profili costituzionalisti, Padova, 1998, pp. 365 ss.
[56] La tesi che la disciplina delle singole esperienze associative costituzionalmente tutelate si integri con la più generale previsione dell’art. 18 Cost. sembra senz’altro la più convincente: per la sua dimostrazione , Pace a., Problematica, op. cit., pp. 363 ss.
[57] Questo sembra essere l’ordine di pensiero svolto da Bartole s., Problemi costituzionali della libertà di associazione, Milano, 1970, pp. 25 ss., di cui può condividersi, in particolare, l’affermazione che l’art. 18 Cost. non garantisca né imponga alcuna forma negoziale associativa tipica. Conformemente, argomentando dal combinato disposto dell’art. 18 Cost. e dell’art. 36 c.c., Basile m., L’intervento dei giudici, Milano, 1977, pp. 180 ss.
[58] Per la dottrina civilistica sul tema, delle cui innumerevoli sfumature, a cominciare dalla risalente disputa tra i sostenitori della natura normativa e quelli della natura contrattuale degli assetti associativi interprivati, non si può dare adeguatamente conto in questa sede, Rubino d.,Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952; Auricchio a., Associazione, diritto civile, in Enc. dir., Milano, 1958, pp. 873 ss.; Bassi f., La norma interna: lineamenti di una teorica, Milano 1963 pp. 194 ss.; Persico g., Associazioni non riconosciute, Enc. dir., IlI, Milano, 1958, pp. 878 ss.; Rosali f., Ancora sull’esclusione del socio dall’associazione non riconosciuta, con particolare riguardo all’esclusione dal partito politico, in Giust. Civ., 1972, pp. 542 ss.
[59] Romano s. , Il diritto pubblico italiano, Milano, 1988, pp. 95 ss.; Grossi p.f.., I diritti di libertà, op. cit., p. 249.
[60] Romano s., Autonomia, op. cit., non ha mancato di rilevare la dottrina classica che le qualificazioni dell’ordinamento si sovrappongano alle parallele qualificazioni dei privati. Ma sarebbe errato considerare che tale sovrapposizione di punti di vista avvenga sempre e, soprattutto, che lo spettro di osservazione debba necessariamente coincidere.
[61] Fermo restando, per il momento, il problema se l’art. 18 Cost. tuteli sia il diritto di libertà di associazione che il relativo potere. È interessante notare come, anche tra gli studiosi del diritto privato, non manchi chi coglie la complessità, dal punto di vista enunciato, del fenomeno associativo. Vi è chi. ad esempio, in critica alla concezione contrattualistica del fenomeno, sottolinea la caratteristica dell’unitarietà del gruppo sociale, in base alla quale si deve considerare l’individuo-socio non nella posizione di parte contraente che ha singolarmente disposto dei propri diritti nei confronti del gruppo stesso (o degli altri soci), ed ha corrispondentemente acquistato determinati diritti od aspettative, ma in una posizione complessiva di appartenenza o partecipazione all’associazione, la quale, a proposito del problema della tutela dei singoli nelle associazioni mette in luce come la soluzione dipenderà anche dalla maggiore o minore elasticità con cui ciascun giudice saprà discostarsi dai rimedi tradizionali relativi ai rapporti patrimoniali privati, e dalla percezione dunque che qui nemmeno di “rapporto” si può forse parlare.
[62] Si accoglie cosi, come già si è detto, la tesi, secondo la quale nell’associazione (ed a differenza che nella riunione) i membri non sono uniti da una vicinanza nello spazio, ma da vincoli sociali o giuridici; la posizione dei soci nell’associazione non si manifesta con la loro presenza visibile in un tutto rappresentabile, ma con la loro immissione in una unità ideale. Esposito c., Lo Stato fascista, op. cit., pp. 22 ss. Da notare che, per definire la natura dei vincoli associativi, si utilizza la formula disgiuntiva “o”, ammettendo che questi possano essere anche meramente ideali e non necessariamente (anche) giuridici. L’art. 19, con riferimento alle associazioni religiose si riferisce alla creazione di legami ideali o giuridici. Sulla distinzione tra unione ideale caratterizzante l’associazione e compresenza materiale nello stesso luogo, caratterizzante la riunione.
[63] Questa unità non è percepibile con i sensi, che vedono i simboli che raffigurano l’associazione, gli elementi che la costituiscono, i partecipi che sono legati ad essa, le riunioni dei membri dell’associazione, ma non l’associazione distinta dagli uomini isolati, o sommati o radunati che ne sono soci.
[64] Esposito c., Lo stato fascista, op. cit., p. 92, la creazione, cioè, di vincoli ideali ed una coscienza e volontà comune.
[65] Lo sforzo più impegnativo dell’associazione mi sembra quello della società di temperanza, cioè l’associazione di uomini che s’impegnano reciprocamente ad astenersi da un vizio e che trovano nella forza collettiva un aiuto per resistere a ciò che vi è di più intimo e di più esclusivo in un uomo: le debolezze, De Tocqueville a., Quaderno alfabetico B, in De Tocqueville a, Oevres complètes. V. Voyage en Sicile et Aux Etats-Units, Paris, 1957, tr. it. a cura di Faccioli e., Viaggio negli Stati Uniti, Torino, 1990, pp.233.
[66] Mentre, invece, ponendosi in relazioni più o meno transitorie con gli altri come lo consigliano le sue necessità e le sue predilezioni, l’uomo rende più efficaci ai fini del proprio essere le attività di cui è dotato, ne assicura e ne intensifica gli effetti, aiuta e completa sè medesimo, indirettamente concorrendo anche all’altrui conservazione e progresso. Il suo pensiero tende ad espandersi, la sua coscienza a rispecchiarsi in altri, l’azione ad associarsi ad altre azioni, i capitali ad altri capitali.
[67] Crisafulli v., Associazioni, Torino 1937 pp. 1035.
[68] Per questo esempio cfr. Ferrara S., Teoria delle persone giuridiche, Napoli Torino 1923 p. 497.
[69] Ferrara f., Teoria delle persone giuridiche,Genova, 1977, p. 497.
[70] In tale settore delle relazioni umane, non a caso è possibile individuare una pluralità di fenomeni, variamente rilevante per l’ordinamento: fenomeni che vanno dal rapporto occasionale, alla relazione sentimentale. alla convivenza more uxorio alla famiglia legittima. Sul problema Grossi p.f., Spunti problematici, op. cit., pp. 25 ss.
[71] In senso contrario, nella dottrina civilistica, invece, Fusaro a., L’associazione non riconosciuta, Roma, 1977, p. 111.
[72] Su quest’ultimo punto Mezzanotte c., La riunione, Torino, 1977, p. 615, per il quale, l’adesione, sia pure semplicemente sostanziale o non ancora consacrata in un atto formale, ad un fine comune a più soggetti rappresenta sempre, da un punto di vista logico ed alla stregua del nostro diritto positivo. un comportamento inerente all’esercizio della libertà di associazione. Ed ancor più penetranti seppure articolate con riferimento al rapporto tra art. 17 e 18 Cost., sono le considerazioni per le quali: se infatti si riscontra nella riunione un sostrato psicologico che trascende la mera volontaria compresenza in uno stesso luogo e se, pertanto, i motivi individuali che sono stati di impulso all’azione si sono in qualche misura generalizzati ed obiettivati in uno scopo lecito per i singoli e comune a tutti i soggetti riuniti il trattamento giuridico sarà dato ancora dal combinato disposto degli artt. 17 e 18.
[73] Riguardo alla dottrina più risalente, a proposito della valorizzazione a tutto tondo delle esperienze associative dell’uomo, cfr. Racioppi v. e Brunelli l., Commento, op. cit., pp. 199 ss., per i quali, a ben poco servirebbero le attitudini a lavorare e a produrre, se dovesse vivere isolato, senza possibilità di scambiare i suoi prodotti; e la sua vita intellettuale e fisica si trascinerebbe penosa e imperfetta, s’egli fosse ridotto a contare solo sulle proprie forze. L’industria, il commercio, l’istruzione, l’educazione, la beneficenza, la religione, la pietà, il diletto, l’arte, la scienza, la politica, gl’interessi professionali o di classe riuniscono gli individui ad affermazioni ed azioni collettive, che secondo il singolo scopo intellettuale, morale, economico, fisico, sociale e politico aiutano, difendono, rafforzano, rendono possibili e le grandi e le modeste intraprese, organizzano l’opinione pubblica, disciplinano la fibra sociale, nella varietà dei fini si armonizzano a fomentare il progresso; Ferrara f., Teoria delle persone giuridiche, op. cit., pp. 357 ss., per il quale ai processi di associazione si deve nella società lo sviluppo della lingua, del costume, dello stesso diritto, ed in proporzioni più modeste, nelle associazioni volontarie, la formazione d’una volontà collettiva del gruppo che è sintesi e non somma dei voleri dei singoli .
[74] Anche se, com’è noto, non solo nella dottrina risalente.
[75] Sulle differenti implicazioni della ricostruzione in termini di irrilevanza e di quella in termini di indifferenza del c.d. momento interno della libertà,Grossi p.f., l diritti di libertà, op. cit., p. 239.
[76] Tutto ciò che l’ordinamento giuridico non regola o per meglio dire, regola in senso negativo, in quanto lo permette, è il campo libero del lecito giuridico e quindi in esso gl’individui possono muoversi secondo la propria volontà, sotto la protezione del diritto. Ognuno può quindi pretendere che questa sfera autonoma non venga violata dall’azione degli altri.
[77] Si tratta di un equivoco nel quale incorrono anche quegli autori che pure colgono molto lucidamente la distinzione tra la dimensione esistenziale dei fenomeni associativi e l’attribuzione ad essi di una rilevanza per l’ordinamento statale: Bassi f., La norma interna, Milano, 1963, p. 187. Sembra proprio che la distinzione tra libertà di fatto e libertà giuridica costituisca lo strumento concettuale (seppur errato) per descrivere le due diverse prospettive.
[78] Bartole s., Problemi costituzionali della libertà di associazione, Milano, 1970, p. 12.
[79] Del resto l’indeterminatezza del termine autonomia (utilizzato talvolta anche per i diritti di libertà), la quale tra l’altro, può indicare una possibilità o attitudine naturale, esplicantesi nei rapporti sociali, una condizione o situazione giuridica del soggetto, idonea a produrre modificazioni della realtà giuridica in generale, Pugliatti s., Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir., XII, 1964, p. 735.
Conferma la conclusione che il riferimento alla libertà di fatto costituisca, almeno per la dottrina più avvertita, in realtà solo un equivoco terminologico-concettuale, si tratta pur sempre di situazioni di fatto giuridicamente rilevanti. Per la tesi che il difetto di un qualsiasi riconoscimento di un ordinamento da parte di un altro non coincida necessariamente con la mancata conoscenza del primo da parte del secondo, per es., Bassi f.,La norma interna, op. cit., p. 41, il quale fa, tra l’altro, l’esempio della organizzazione illecita rispetto alla quale il diritto statale considera come reato il semplice fatto di avere istituita e, quindi ordinata, tale organizzazione, concludendo che in questi casi, l’ordinamento statua le investe con la massima forza di cui dispone gli ordinamenti che minacciano la sua esistenza e, lungi dal riconoscere agli ordinamenti medesimi il carattere di “ordinamenti giuridici”, li colpisce come i più gravi fatti antigiuridici, cioè come reat. Ma l’autore offre altri e forse più suggestivi esempi, anche con riferimento a fenomeni leciti quali ad es. quello degli ordinamenti che si sviluppano all’interno di uno stabilimento industriale tra datore di lavoro e lavoratori, i quali mettono capo a rapporti non sempre giuridicamente riconosciuti.
[80] Bacceli G., Diritti e liberta nella società contemporanea, Milano 2001.
[81] Un accenno alla distinzione delle due prospettive anche in Zanzucchi m. t., La libertà di associazione secondo la nuova costituzione, in Studi in onore di Cicu, Milano 1951, vol. II, p. 494.
[82] Sulle differenziate valutazioni che il diritto può compiere a proposito di un gruppo sociale organizzato preesistente, ignorandolo del tutto o riconoscendolo a vario titolo, Bassi f., La norma interna, op. cit., pp. 186 ss., e, per il relativo dibattito che ha intrecciato quello sulla natura delle persone giuridiche, anche Temolo A., Lo Stato, i gruppi, gl’individui, in Scritti in Onore di Mortati. Aspetti e tendenze del diritto costituzionale, Milano, 1977, pp. 191 ss.
[83] Oestreich G., Storia dei diritti umani e delle liberta fondamentali,Roma 2004.
[84] Puleo A., Quale giustizia per i diritti di liberta? : diritti fondamentali, effettività delle garanzie giurisdizionali e tecniche di tutela inibitoria, Milano 2005.
[85] Esemplari a questo proposito le considerazioni di Beiti e., Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960, pp. 40 ss., il quale, dopo aver premesso che, sul piano meramente sociale i negozi giuridici hanno la loro genesi nella vita di relazione: sorgono come atti coi quali i privati dispongono per l’avvenire un regolamento impegnativo d’interessi nei loro reciproci rapporti e si sviluppano spontaneamente sotto la spinta dei bisogni, per adempiere svariate funzioni economico-sociali, all’infuori dell’ingerenza di ogni ordine giuridico, così descrive il (meramente eventuale) riconoscimento di essi da parte dell’ordinamento: ora il diritto, quando si decide ad elevare i contratti in parola al livello di negozi giuridici, altro non fa che riconoscere, in vista della sua funzione socialmente rilevante, quel vincolo che, secondo la coscienza sociale, i privati stessi già per l’innanzi sentivano di assumersi nei rapporti tra loro. Non fa che rafforzare e rendere più sicuro tal vincolo, aggiungendovi la propria sanzione. Al vincolo già contratto al livello sociale (e considerato già non come un programma puro e semplice ma come criterio vincolante, come una regola di condotta che esige di essere osservata e che, in caso d’inosservanza, è accompagnata, nella vita sociale, da sanzioni più o meno energiche e sicure la sanzione del diritto si presenta come qualcosa di aggiunto e di logicamente posteriore: per l’appunto come un riconoscimento di autonomia..
[86] Grossi p. f., Considerazioni introduttive, op. cit., p. 7. Essa, peraltro, non va confusa con il diritto dello Stato, con ciò intendendosi quello prodotto dalle fonti legali dell’ordinamento.
[87] In argomento, per una disamina dettagliata con riferimento al nostro ordinamento, delle pluralità di forme di emersione dei fenomeni collettivi, Vignocchi g., Aspetti e problemi degli organismi di fatto con particolare riferimento al diritto pubblico italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, pp. 803 ss.
[88] L’esemplare distinzione tra libertà elettorale e potere elettorale, libertà sindacale ed il relativo potere, suggerite da Grossi p.f., I diritti di libertà, op. cit., pp. 249 ss.
[89] Maccapani G., Il diritto di associazione e riunione nella dottrina e giurisprudenza della seconda meta dell’Ottocento Milano 1990.
[90] Caretti P., I diritti fondamentali : liberta e diritti sociali, Torino 2005.
[91]Lombardi G., Diritti di libertà e diritti sociali, in Politica del diritto, fasc. 1 1999, p. 7-16.
[92] Pace a., Problematica, op. cit., pp. 339 ss., il quale, condivisibilmente, afferma che qualora il fine dell’associazione è penalmente illecito il vincolo intercorrente tra gli associati non ha, ovviamente, efficacia giuridicamente obbligatoria .
[93] Come, in un certo senso, afferma Finocchiaro f., Diritto ecclesiastico, Bologna, 1997, p. 71, là dove riconosce che le associazioni per delinquere ben poco hanno a che fare con le associazioni non riconosciute disciplinate dagli artt. 36 ss. c.c. e ciò in base al presupposto che queste ultime hanno il loro habitat naturale dentro l’ordinamento statuale. Detto in altri termini, l’impostazione criticata finirebbe per condurre alla conclusione che non possa esistere associazione, e quindi positivo godimento del diritto di libertà di associarsi, se non quando essa si sia validamente formata secondo le regole stabilite dal diritto. In occasione dell’esame delle differenze tra la associazione e la società si ritiene che in tanto vale ed esiste in quanto il diritto la riconosca valida. Essa non sorge, come le associazioni, in virtù della capacità e della forza naturale degli uomini di fondersi in unità ideali per la realizzazione di fini comuni o paralleli, ma sorge in forza della loro capacità giuridica di stringere vincoli giuridici.
[94] Non si tratta, invero, d’un’entità lecita, che possa compiere negozi giuridici, avere, acquistare o esercitare diritti soggettivi, ecc. e quindi l’una o l’altra forma della sua illegittima costituzione è giuridicamente senza importanza così, a proposito dell’associazione per delinquere,Manzini v., Trattato di diritto penale, Torino, 1965, pp. 196 ss.
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