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I limiti della libertà di associazione

  1. Margini di ammissibilità di limiti volontariamente accettati alla libertà di associazione

Il diritto consacrato nell’art. 18 Cost. può ben trovare dei limiti nell’esigenza di preservazione e di sicurezza sociale e di giustizia.

Ci si chiede se siano ammissibili vincoli volontariamente accettati dal titolare stesso della situazione soggettiva. A tal proposito si possono prendere in considerazione tutte le obbligazioni aventi ad oggetto gli interessi connessi all’associarsi che il soggetto possa assumere[1].

Costitusce premessa logica risolvere i problemi circa la ricerca di un confine tra costrizioni legittime e quelle non legittime delle libertà[2].

Dalla natura innata delle libertà tra l’altro, e dalla loro insuscettibilità di estinzione se non con la morte del titolare, si traggono gli ulteriori corollari consistenti nell’inalinabilità, indisponibilità, irrinunziabilità e imprescrittibilità del diritto[3].

Con riferimento pertanto all’esplicazione di autonomia privata avente ad oggetto limitazione della propria libertà di associazione, si ritiene che queste limitazioni siano consentite purchè non contravvengono al generale regime costituzionalmente accolto in materia.

Da tale assunto si può dedurre che mentre le modulazioni in via pattizia, del vincolo associativo, non potrebbero di per sé essere considerate delle compressioni illegittime della stessa, costituendo caso mai espressione dell’uso del diritto in una determinata direzione positiva al contrario con maggior cautela vanno considerate le limitazioni che attengono sia al momento genetico che a quello conclusivo della vvicenda associativa.

In quest’ultimo caso si ritiene che attengano a margini di disponobilità in via negoziale della libertà nella formazione del vincolo[4] e della libertà di recesso da esso.

Pertanto le autolimitazioni negoziali della libertà sono tollerabili in quanto esse non contrastino con il regime tipico delle libertà. Pertanto sicuramente una rinunzia al diritto, un negozio di alienazione o di disposizione a favore di terzi[5] vengono considerati nulli[6]. Ma analogamente anche determinazioni di autonomia potrebbero porre il probelma di valutare se non si riflettano in altrettanti atti viziati, qualora l’intensità del vincolo gravante sul titolare equivalga ad una delle modalità non consentite[7].

Ad esempio l’impegno giuridicamente sanzionato[8] a rimanere associati per tutta la vita, costituisce l’equivalente della rinuncia al godimento in forma negativa della libertà, oltre che naturalmente all’esercizio della facoltà di associarsi in direzioni incompatibili con l’associazione di appartenenza. Ed anche l’impegno patrimoniale al pagamento, in caso di recesso dall’associazione, di un corrispettivo ai sensi dell’art. 1373 c.c. qualora il recesso si configuri come un inadempimento di una clausola penale sproporzionatamente elevata, potrebbe costituire un vincolo eccessivamente gravoso sul titolare del diritto,tale da impedire di avvalersene in concreto e comunque tale da giustifucare la riduzione giudiziale ai sensi dell’art. 1384 c.c.[9].

Ma anche per quanto attiene alle limitazioni temporanee la valutazione dell’idoneità a rappresentare una rinuncia al diritto di libertà andrebbe fatta con riferimento anche alla natura del rapporto e del gruppo[10]. Ad esempio ò’obbligo di associarsi quale oggetto di un contratto preliminare è astrattamente possibile purchè la libera scelta inserita nel preliminare e concretizzata nel definitivo, impegni il titolare per un tempo valutabile come non eccessivamente lungo[11].

  1. Limiti alla libertà di associazione e regime delle situazioni non garantite

La libertà di costituire associazioni per fini non vietati dalla legge penale va coordinata con la disciplina costituzionale dei diritti individuali[12].

Tale situazione può comportare che associazioni vietate da leggi penali contrastanti con la Costituzione possano essere lecite.

Ad esempio l’art. 21 c.p. punisce le associazioni antinazionali. Tuttavia qualora quest’ultime abbiamo carattere partitico esse risultano coperte dall’art. 49 Cost., il quale si limita ad esigere dai partiti il rispetto del metodo democratico nelle loro azioni e relazioni esterne[13].

Le associazioni in cui invece si sia ravvisata una forma di ricostruzione del disciolto partita fascista sono legittimamente vietate dalla legge penale e soggette a scioglimento coattivo[14].

Analogamente sono legittimi anche gli artt 270 e 270 bis che puniscono le associazioni sovversive, terroristiche ed eversive, caratterizzate dall’uso della violenza.

Si tratta dunque di appurare se e quale discrimine vi sia tra lecito ed illecito in sede costituzionale per isolare all’interno dei fenomeni associativi quelli che sono espressamente garantiti[15].

Va rilevato infatti che il diritto di associazione va collocato tra quelli per cui si invoca l’inviolabilità. Tale assunto fa si che l’eventuale limitazione del diritto di associazione, non potrà mai avvenire in via diretta, ma potrà essere imposto solo, in via indiretta, qualificando previamente come penalmente illeciti i fini che il singolo possa dare a se stssso[16].

Il riferimento alla legge penale inoltre, implica anche delle consueguenze sulla qualità strutturale degli interventi limitativi, questi non potranno non rispettare le prescrizioni costituzionali[17] imposte all’intervento legislativo in materia penale[18].

Va ulteriormente rilevato che attesi i molteplici limiti costituzionali alla qualificazione in termini di antigiuridicità dei comportamenti umani, nel caso in cui quest’ultmi non possano costituire oggetto di divieto penale, in ogni caso dovrà ritenersi garantito il loro perseguimento come fine dell’associazione.

Ma anche per quanto attiene alle ipotesi di tipo associativo non espressamente garantite, la Costituzione spesso rinvia alle fonti subordinate. Tale assunto potrebbe essere giustificato sia in base all’art. 18 Costche rispetto alle associazioni espressamente politiche.

In merito all’art. 18 Cost. va detto che soltanto un’interpretazione non conforme potrebbe protendere a confondere la riserva al legislatore come un’implicita qualificazione in termini di illiceità delle associazioni che perseguono fini vietati ai singoli dalla legge penale.

La disposizione, in quanto rivolta a definire residualmente l’area della garanzia non sembra optare per nessuna delle possibili alternative valutative dei fenomeni ad essa estranei[19].

Perciò non vi è alcun motivo plausibile che non consentirebbe al legislatore di ampliare lo spazio della garanzia costituzionale, con l’unica differenza che il relativo regime risentirebbe  della minire forza formale della fonte che la prevedesse[20].

Si può dunque concludere che al di fuori delle ipotesi di tutela espressamente garantite dalla Costituzione, alla pretesa ad unirsi per fini vietati ai singoli dalla legge penale, potrà applicarsi, più che il regime previsto dall’art. 18 Cost., quello meno garantistico proprio della libertà da prestazioni personali o patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost[21]. Altrettanto valida è stata ritenuta la soluzione di sanzionare solo alcune delle fattispecie ipotizzabili di associazioni che si propongono di perseguire fini vietati ai singoli dalla legge penale[22].

Si ribadisce dunque che al di fuori dell’area espressamente garantita, l’interesse ad associarsi per fini vietati ai singoli dalla legge penale, confluisce in un’area che in assenza di una specifica normativa non è giuridicamente irrilevante ma pur sempre protetta dalla disposizione di cui all’art. 23 Cost. fino a quando l’ordinamento non intervenga con qualificazioni di segno diverso.

Il discorso ovviamente non si estende alle associazioni espressamente vietate in Costituzione o che si propongono fini che la Costituzione implicitamente considera tali da determinare l’illiceità. Si ricorda infatti che alle fonti subordinate è preclusa ogni valutazione positiva di tali fenomeni[23].

3.Il problema delle forme di intervento sulle associazioni illecite: l’alternativa tra riserva di giursdizione e potere dell’amministrazione

Ci si chiede pertanto se siano desumibili dalla disciplina costituzionale particolari garanzie relativamente alle modalità di sanzione con eventuale repressione delle associazioni illecite[24]. La questione si pone, in particolare, con riferimento allo scioglimento delle associazioni di polizia, compiuto senza la garanzia della previa pronuncia dell’autorità giudiziaria[25]. In dottrina a tal proposito ricorre l’affermazione motivata da una condivisibile ispirazione garantista secondo la quale in detta materia, in particolare quando si tratta di irrogare la sanzione dello scioglimento, sarebbe precluso l’intervento dell’amministrazione[26], potendosi procedere esclusivamente sulla base di atti dell’Autorità giudiziaria e per di più di quella penale[27].

Ma una tale posizione può essere presa in considerazione in punto di diritto solo per i casi in cui il legislatore statale sul piano storico-concreto abbia qualificato in termini di illiceità penale fenomeni associativi che la Costituzione non intende garantire.

In tali circostanze attesa l’astrazione della questione nell’orbita dei principi che presiedono l’ordinamento penalistico, non possono sorgere dubbi sulla necessità che l’accertamento definitivo dell’antigiuridicità del fatto associativo sia commesso all’autorità giudiziaria[28].

Si può affermare quindi che lo scioglimento dell’associazione che incide in via definitiva sul destino del particolare sodalizio considerato debba essere preceduto dall’accertamento del giudice penale.

Ciò però non toglie che diversa debba essere la conclusione assumendo la premessa che con tutte le associazioni prive di puntuale garanzia costituzionale debbano qualificarsi in termini di illiceità e illiceità penale[29].

In tale circostanza infatti il regime degli accertamenti discenderà di volta in volta dalla particolare forma in cui si manifesta sul piano sostanziale, la qualificazione negativa compiuta dall’ordinamento[30]. È evidente cioè che la criminalizzazione delle associazioni non garantite non costituisce una scelta costituzionalmente obbligata, tale conclusione esclude qualsiasi automatismo anche sul piano delle modalità di attuazione dell’ordinamento in tale settore.

Così come nulla sembra impedire sul piano teorico che le associazioni che perseguono fini vietati ai singoli dalle legge penale, siano qualificate come illecite solo sul piano amministrativo o civile, così come nulla impedisce che al loro scioglimento si proceda con atto dell’Autorità Amministrativa.

E lo stesso vale per gli altri tipi di associazioni illecite, qualora si aderisca alla tesi che il divieto di cui all’art. 18 comma 2 Cost. o dell’art. XII disp. Trans. Fin. non significhi necessariamente un giudizio di illiceità penale[31]. Ciò non esclude che contro gli atti della pubblica amministrazione sia sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti[32], e anche quando e soprattutto essi avessero ad oggetto fattispecie in qualche modo interferenti o confinanti con libertà costituzionalmente garantite.

Né esclude che attesa la necessaria tassatività delle ipotesi di illiceità delle associazioni[33] la discrezionalità dell’amministrazione debba in tale materia, ritenersi assolutamente limitata se non proprio assente[34].

Così risulta impostata la soluzione se allo scioglimento possa provvedere direttamente il legislatore o il Governo mediante decreto-legge[35].

  1. I limiti oggettivi. In particolare l’illiceità del fine e i limiti di ordine pubblico

Un limite generale posto in tema di libertà di associazione è l’ordine pubblico[36] previsto nel comma 1 dell’art. 18 Cost. secondo cui i singoli possono liberamente associarsi ma solo per fini che non siano vietati dalla legge penale[37].

Il rilievo che secondo l’art. 18 Cost. può vietarsi solo l’associazione che ha per scopo la commissione di reati vale ad escludere che l’ordine pubblico si configuri come un autonomo limite della libertà di associazione[38].

Questa opinione è del tutto pacifica per il c.d. ordine pubblico ideale, ma alla medesima conclusione sembra debba giungersi anche con riferimento all’ordine pubblico materiale, volto a tutelare la pacifica convivenza sociale, sotto la minaccia di movimenti suscettibili di produrre a breve scadenza, la commissione di reati ove il richiamo a questa nozione fosse suscettibile, in tema di limiti al diritto in esame, di allargare le maglie del principio di tassatività della fattispecie penale e di aprire il varco ad interventi autonomi del potere esecutivo.

È sintomatica la dizione usata dal Costituente che espressamente come dimostrano i lavori preparatori la preferì all’altra “per scopi che non contrastino con le leggi penali” che era stata proposta dal Consiglio di Stato. La preferenza fù dovuta al fatto che si volle dettare il seguente preciso precetto: “tutto quello che un cittadino può fare da solo, che può compiere senza urtare i precetti della legge penale, può essere oggetto e scopo di associazione”[39].

Perciò da ciò va dedotto che il limite costituzionale al diritto di associazione tende a vietare agli associati il compimento di quelle azioni che la legge penale vieta ai singoli[40]. Va da se che la riserva di legge penale, va riferita non alle sole leggi penali anteriori all’entrata in vigore della Costituzione, ma anche alle posteriori, sempre a patto che tali leggi non colpiscano direttamente e soltanto le associazioni e gli scopi da essi conseguiti ma dichiarino preventivamente illegittimi gli scopi dei singoli.

Va precisato che si deve escludere che la mera formazione dell’associazione, intesa come fine del singolo, possa essere di per sé vietato dalla legge penale[41].

Perché essa sia punibile in modo legittimo è cioè necessario che si verifichi l’ulteriore requisito che il fine che si vuol perseguire con l’associa­zione sia anche autonomamente perseguibile (e vietato al) dal singolo[42].

Si deve, cioè, postulare che con la formula adottata si sia voluta offrire una garanzia ulteriore rispetto a quella assicurata dalla mera riserva di legge penale[43].

E tale è quella per cui non possano essere criminalizzate le associazioni, se non in quanto finalizzate a realizzare e potenziare comportamenti che già al singolo fossero distintamente preclusi dall’ordinamento penale[44].

Se ciò è vero, si deve sempre postulare una distinguibilità logica tra fine perseguibile dal singolo isolatamente e fine dell’associazione; cosicché deve sempre potersi individuare uno stacco tra l’uno e l’altro e per ogni fattispecie di associazione non garantita ci deve essere una specifica e diversa fattispecie di reato avente ad oggetto un comportamento individuale[45].

La conclusione appena raggiunta richiede però delle precisa­zioni che valgano a fugare le apparenti aporie che ad essa sembra possibile ascrivere.

Ad essa si potrebbe, infatti, obiettare che, pro­prio con riferimento ai limiti della garanzia, la soluzione ricostruttiva proposta si presti ad interpretazioni assurde e paradossali.

La critica potrebbe, cioè, muovere dalla constatazione che, attribuendo alla fattispecie associativa una estensione così ampia e pretendendo altresì di considerare come una necessità costituzionalmente imposta la separazione logica tra divieto al singolo e divieto all’associazione, non potrebbero essere assoggettati alla legge penale tutti quei feno­meni criminosi che si realizzano necessariamente in forma asso­ciata.

Si pensi, con riferimento al diritto penale vigente, a taluni dei reati c.d. necessariamente plurisoggettivi[46] o a quelli che esi­gono la cooperazione della vittima o il consenso di questa[47] o, infine, a tutte le altre tipologie di reato che, a prescindere dall’in­quadramento entro un genus più ampio, prevedano l’accordo (e quindi l’associarsi) quale elemento caratteristico e costitutivo della fatti specie e sono pertanto definite “reati di accordo” o “reati­accordo”[48].

Sembrerebbe, dunque, che all’interprete non si offra che la seguente alternativa: o si esclude che in conformità alla riserva doppiamente rinforzata dell’art. 18 Cost. tali comportamenti siano in assoluto assoggettabili al divieto della legge penale (in quanto per essi è inconfigurabile un comportamento distintamente vietato ai singoli dalla legge penale); ovvero si esclude che ci si trovi in presenza di fatti associativi.

4.1 Le associazioni segrete

La Costituzione stabilisce espressamente il divieto delle associzioni segrete[49].

Il divieto in particolare si motiva con l’esigenza di evitare che le stesse possano alterare la natura pluralistica e demicratica del nostro ordinamento[50]. Obiettivo dei costituento si ritiene sia stato quindi quello di evitare la creazione di uno Stato all’interno dello Stato, ovvero di un potere di controllo alternativo a quelli operanti nel circuito democratico.

Nella prima sottocommissione dell’Assemblea costituente, era stato chiarito il senso della formula “associazioni segrete” come riferibile a quelle associazioni che cercano di nascondere la loro esistenza. Ma in Assemblea un tentativo di elencare le caratterstiche della segretezza fu respinto.

In dottrina si è dibattuto se il divieto della segretezza operi di per se, o solo nei casi in cui la segretezza dell’associazione risulti finalizzata al perseguimento di scopi vietati dalle leggi penali[51].

È stato ritenuto che in un sistema in cui è vietata la censura e garantita la libertà di parola e di espressione non sembra conforme alla legge accogliere la legittimità delle associazioni segrete la cui appartenenza da parte di chi svolge un’attività di rilevanza pubblica presuppone un’intento prevaricatore[52].Tuttavia è stato anche osservato che la seconda parte dell’art. 18 Cost. non è immediatamente applicabile essendo necessaria una legge che definisca in maniera più dettagliata il contenuto del divieto e che preveda espressamente, in caso di inosservanza, specifiche sanzioni, in mancanza delle quali nessuno può essere punito[53].

Appoggiando questo secondo orientamento sono state ritenute pertanto inizialmente lecite le associazioni massoniche[54].

Ciò sul presupposto che certe forme particolari di riservatezza, sia per quanto riguarda particolari deliberazioni, sia nei confronti dell’elenco dei soci, non bastano per qualifucare una società come segreta, non potendosi pretendere, senza violare la libertà dei cittadini, che sia di assoluto dominio pubblico anche tutto ciò che riflette la vita interna delle associazioni, specialmente se di carattere politico.

Per sanare questa lacuna è intervenuta la legge 25 gennaio 1982, n. 17 che ha definito con maggiore precisione il concetto di associazione segreta e di conseguenza vietato le associazioni che anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero alcuni aspetti essenziali svolgano attività dirette ad interferire sull’esercizio di pubbliche funzioni o di servizi pubblici essenziali[55].

Dal dettato normativo si evince che non tutte le associazioni segrete sono vietate ma solo quelle che perseguono le finalità descritte dalla suesposta legge.

Va altresì chiarito che non sembra sufficiente affermare, al fine di determinare il concetto di associazione segreta, che è tale quella che nasconda lo scopo effettivo, ovvero particolari normativi o organici della propria organizzazione[56] così come non è risolutivo imporre la necessaria pubblcità della sede, degli atti e dei principi[57] o almeno l’elenco dei propri soci[58].

In via preliminare è infatti d’obbligo precisare che con la disposizione in commento la Costituzione abbia imposto un dovere generalizzato di pubblcità[59]. Se così fosse non si sarebbe elevata la segretezza a contenuto di una libertà costituzionale[60] e non si riterrebbe generalmente meritevole di positivo apprezzamento la riservatezza che avvolge usualmente lo svolgimento di attività professsionali, economiche e industriali[61].

Si può argomentare quindi, che la segretezza per essere costituzionalmente proibita, deve avvolgere l’associazione nel suo complesso: nel senso che la non conoscibilità circa l’identità dei soci o circa l’attività o l’organizzazione del gruppo deve, in primo luogo essere voluto[62], in secondo luogo deve essere assoluto (e non rigurdare la sola conoscenza ufficiale delle pubbliche autorità)[63] infine deve coinvolgere la stessa esistenza dell’associazione nel suo complesso[64].

Ve detto che contrariamente però vi è chi sostiene che quando si parla di associazioni segrete, generalmente si allude all’esistenza di qualcosa di poco onesto e di poco confessabile[65] con la conseguenza che, attribuendosi alle associazioni segrete anche finalità illecite, i discorsi in tema di segretezza sarebbero, in ultima analisi, del tutto inutili, posto che con la menzione delle associazioni segrete si proibirebbe unicamente quanto già vietato ai singoli della legge penale.

Di qui l’alternativa o ritenere che la proibizione di cu al secondo comma debbe essere coordinata con il precedente divieto; oppure prospettare che tale proibizione ponga in essere una presunzione assoluta di illeicità anche in assenza di scopi non vietati[66].

Risolta in tal senso la disposizione avrebbe una portata di gran lunga superiore alla formulazione letterale dell’articolo in commento, venendo essa a testimoniare l’esistenza di un principio essenziale per l’ordinamento, e cioè il divieto che nello Stato possa esistere un altro Stato[67]. Il che si verificherebbe qualora la occulra ramificazione di un’associazione in ogni settore pubblico[68] o privato della Comunità determini nei soci la pretesa e negli estranei il timore di detenere un potere e un’autorità capaci di agevolemenet sostitursi e con maggiore efficacia all’azione statale.

Vista in tal senso la portata delle disposizioni sarebbe duplice: non solo vieterebbe l’esistenza di associazioni segrete ma, ricollegandosi ai limiti della sovranità popolare e all’unità della Repubblica, costituirebbe un grave monito per i governanti a non creare vuoti di potere politico, lasciando quindi crescere, nell’opinione pubblica, l’incertezza sull’efficienza e la sufficienza dell’apparto statale. Si può quindi concludere che le associazioni segrete che il Costituente mira a vietare non possono essere altro che quelle le quali, anche indirettamente, finalità politiche. Fuori della sfera del politico infatti il divieto di segretezza non sembra avere alcun senso, non potendosi certo pretendere dalle comuni associazioni che esse agiscano pubblicamente è cioè informando previamente le pubblche autorità e rendendo i terzi consapevoli circa il numero e l’identità dei soci, circa la propria organizzazione, i mezzi di finanziamento e gli obiettivi effettivamente perseguiti.

4.2 Il divieto delle associazioni politiche organizzate militarmente

La Costituzione non vieta le associazioni militari in sé, ma quelle che perseguono finalità politiche dotandosi di un modello organizzativo di tipo militare[69].

Per associazioni a carattere militare si intendono quelle organizzazioni in cui lo spirito dell’individuo viene sottoposto ad una disciplina militare, ed all’associato si impone di rinunciare alla propria libertà individuale, per mettersi a disposizione dei fini dell’associazione.

Infatti posto che l’unica organizzazione a struttura associativa che possa perseguire fini politici con l’ausilio di mezzi coercitivi è appunto lo Stato detentore, nel’ordinamento del monopolio della forza è infati in quella medesima logica che sembra porsi la proibizione, delle associazioni di perseguire, anche indirettamente, fini politici con organizzazioni di carattere militare[70]. L’uso della forza e l’assoggettamento dell’individuo ad una disciplina militare sono vietati non soltanto alle associazioni che perseguono fini politic direttamente (partiti) indirettamente (sindacati) ma sono altresì proiniti quando le organizzazioni di carattere militare abbiano collegamenti obiettivi con un partito o con un movimento politico, e quand’anche esteriormente si presentino come associazioni sportive o di cultura generale[71]..

Dunque al fine di qualificare un’associazione come paramilitare, si ritiene sufficiente il mero inquadramento degli associati in nuclei analoghi a quelli militari e non ncessaria la presenza di armi[72] o il divieto di adozioni di uniformi e divise[73].

Il D.Lgs. 14 febbraio 1948, n. 43 punisce sia i promotori che i semplici partecipanti di associazioni di carattere poltico militare. Tale normativa identifica il carattere militare di un’associazione facendo capo all’inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, all’esistenza di un ordinamento interno con gerarchie affini a quelle militari, all’adozione di gradi od uniformi.Vieta altresì ai partiti di dotare di uniformi o divise i propri aderenti, salvo le organizzazioni sportive e culturali[74].

Il divieto trova giustificazione nella necessità che in un ordinamento a carattere democartico, la formazione della volontà politica, scatirisca dal libero, spontaneo orientamento dei cittadini, singoli ed organizzati e non sia il prodotto di atti di coazione e di intimidazione[75].

  1. La disciplina dei limiti nelle leggi ordinarie

Nella Costituzione non compaiono altri limiti della libertà di associazione.

Tuttavia vanno esaminati limiti diversi che si rinvengono in leggi ordinarie.

Va dato conto però che il panorama dei reati associativi[76] è fondamentalmente caratterizzato da non poche fattispecie, non agevolmente coordinabili.

Da ciò l’interrogativo se esse siano compatibili con la nostra Costituzione o tali possano essere rese attraverso un loro adeguamento in via interpretativa ai valori della Costituzione Repubblicana.

Dunque la presenza di un titolo del Codice Penale che configura e descrive i delitti associativi si pone in qualche misura in un rapporto stridente con il fondamento e la tutela che la nostra Carta Costituzionale, all’art. 18, offre al diritto di associazione[77].

Ed infatti la premessa personalistica che ispirò il costituente impone di circoscrivere la libertà di associazione nel modo minore possibile, poiché l’associazione costituisce la forma più tipica delle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana. Dunque proprio l’alto valore riconosciuto dalla Costituzione al fenomeno associativo comporta che i limiti alla libertà di associazione non possono che essere che quelli espressamente previsti dalla specifica norma della legge e cioè il limite dello scopo penalmente illecito, il limite della segretezza e dell’organizzazione militare, nonché il limite ideologico della ricostituzione del partito fascista. A questi tre ordini di limiti corrisponodono rispettivamente le tre categorie dei reati di associazione di scopo[78], di struttura o di organizzazione[79] e di ideologia[80].

Stante dunque lo stretto parallelismo esistente fra fenomeno associativo e libertà personale del singolo, è chiaro che l’associazione difficilmente può sottostare a limiti quantitativamente e qualitativamente diversi da quelli imposti al singolo: ne deriva che il singolo è libero di agire in associazione nel rispetto della legge penale ma, allo stesso modo, lo Stato è libero di agire contro il singolo qualora i fini da esso perseguiti si rivelino suscettibili di ledere i suoi interessi e di violare le sue leggi.

Di qui una categoria di delitti quelli associativi, appunto che si configurano come reati a tutela anticipata, di pericolo presunto iuris et de iure

Poiché un’associazione richiede per definizione una pluralità di persone che si uniscono stabilmente per realizzare un programma comune, i reati associativi rientrano nella più ampia categoria di reati necessariamente plurisoggettivi[81] o a concorso necessario. Inoltre poiché l’associazione richiede di regola un patto con il quale gli associati si impegnano a realizzare insieme un programma associativo, si è ritenuto di far rientrare i reati associativi nella categoria generale dei reati accordo[82].  I reati associativi presentano, però, una caratteristica sostanziale che li differenzia dagli altri reati plurisogettivi. Infatti nei reati associativi il disvalore del reato si impernia essenzialmente sul risultato della partecipazione di tutti e di ognuno dei concorrenti, cioè in definitiva sul fatto dell’associazione. Cio nonostante, la responsabilità penale è individuale di ciascuno per il fatto proprio della partecipazione.

Va altresì rilevato che i reati associativi anticipano la soglia della punibilità costituendo essenzialmente dei reati di pericolo. Ciò che caratterizza, quindi, l’associazione penalmente illecita, è la probabilità di commissione dei reati, cioè la sua pericolosità oggettiva.

Andando ad esaminare concretamente le varie ipotesi di reati associativi va detto come è noto come numerosi e rilevanti siano i motivi di complessità dell’associazione per delinquere, prevista e punita dall’art. 416 c.p., che hanno impegnato la dottrina più autorevole[83].

Inanzitutto bisogna ricordare, in primo luogo, l’effettivo significato da attribuire alla cd. affectio societatis scelerum , definita come la consapevolezza del soggetto di avere assunto un vincolo associativo criminale destinato a permanere anche al di là degli accordi particolari finalizzati alla realizzazione dei singoli episodi delittuosi ed in cui costante giurisprudenza di legittimità individua l’elemento soggettivo del reato[84]. Ancora, la differenza intercorrente fra il delitto di associazione per delinquere ed il mero concorso di persone nei delitti di scopo ed unanimemente individuata in parte nel carattere di permanenza dell’organizzazione criminosa di cui all’art. 416 c.p. ed in parte nell’indeterminatezza del programma criminale a cui può essere diretto un concorso di persone e che, invece, è strutturalmente assente nell’associazione per delinquere[85] .

Da ultimo, poi, la possibilità o meno di configurare il tentativo, che viene negata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, pur contestata da isolate correnti giurisprudenziali, sulla base della considerazione che l’associazione per delinquere, in quanto reato di pericolo, si perfeziona già con la sola creazione del vincolo associativo. Va premesso poi che l’esatta determinazione dell’oggetto della tutela penale dei reati contenuti nel titolo V del codice penale, fra i quali appunto l’associazione per delinquere, è sempre stata gravata da dubbi e difficoltà.La dottrina, nel tentativo di dare luce a questa annosa e dibattuta problematica, ha spesso finito con il confondere maggiormente le idee all’interprete della norma, statuendo sostanzialmente ciò che l’ordine pubblico non è ma non arrivando mai a definire con precisione ciò che esso effettivamente è. Infatti gli autori, da un lato hanno più volte ribadito che il concetto di ordine pubblico non va confuso con quello, più ampio, di ordinamento giuridico dal momento che questo ultimo, inteso come sistema di norme e di enti pubblici e privati, fa riferimento a tutte le manifestazioni della vita del diritto[86]. Parimenti, la dottrina ha specificato che l’ordine pubblico non va confuso con quello che viene spesso chiamato ordine pubblico generale cioè quell’assetto di norme e istituzioni, interne ed esterne, che permette alla società di vivere e prosperare [87]. Infine, si è precisato come l’ordine pubblico non si identifichi neanche con ciò che è stato definito “ordine pubblico costituzionale” cioè l’insieme delle norme ispirate alla nostra Carta Costituzionale che si pone alla base della pacifica convivenza civile[88]. La giurisprudenza, dal canto suo, non ha dato risposte definitive a questo annoso dibattito.

La Corte Costituzionale è intervenuta due volte[89] in tema di reati contro l’ordine pubblico e, precisamente, con una sentenza interpretativa di rigetto relativa all’art. 414 c.p (Istigazione a delinquere) e, successivamente, con una sentenza interpretativa di accoglimento relativa all’art. 415 c.p. (Istigazione a disobbedire alle leggi) : in entrambi i casi, la Corte si è limitata a statuire che questi reati, come tutti quelli rientranti nel titolo V del codice penale, sono da considerarsi come reati di pericolo concreto e non di pericolo presunto, come talvolta si è ipotizzato, il che sposta il concetto di ordine pubblico da un piano strettamente teorico ad uno assolutamente concreto ed attuale. Nonostante ciò, la Corte Costituzionale non ha risolto i dubbi lasciando sopravvivere le due accezioni fondamentali del concetto di ordine pubblico che si ricavano da quelle poco sopra riportate[90].

Nell’art. 416 c.p. è la norma codicistica da cui emerge con maggiore chiarezza la sottile differenziazione far i c.d. reati mezzi e reati scopo, i primi sono dati dai singoli delitti che le tre o più persone associate promuovono ed organizzano mentre i secondi sono l’obiettivo finale, lo scopo criminoso a cui questi delitti vengono finalizzati ed in vista del quale vengono commessi.

Fatta questa precisazione, è chiaro che nell’art. 416 c.p. è impraticabile una concezione “ideale” di ordine pubblico così come è di difficile applicazione una concezione strettamente “materiale” del medesimo ordine pubblico: in entrambi i casi l’ordine pubblico rischia di trasformarsi sempre di più da bene da proteggere a fine da realizzare. Sulla base di questa constatazione, parte della dottrina[91] ha concluso che l’associazione per delinquere integra una forma anticipata di tutela dei beni aggrediti dai singoli reati, scopo ovvero una tutela preventiva rispetto al pericolo di realizzazione dei delitti oggetto del programma criminoso. Altri[92] hanno tentato una nuova interpretazione della ratio punitiva dell’art. 416 c.p.: l’associazione per delinquere non viene repressa e punita perché produce altri delitti ma perché amplifica la possibilità che tali delitti (i reati mezzo) vengano commessi.

La soluzione è che è reato contro l’ordine pubblico quel reato a vittima indiscriminata i cui effetti consistono in un apprezzabile aumento delle opportunità criminali. Ecco, allora, che l’ordine pubblico non è più un bene autonomamente aggredibile ma si colloca accanto ad altri beni, protetti dalle norme sui delitti scopo, risultando suscettibile di offesa solo mediante la produzione di atti riguardanti tali delitti.

Ed ancora sempre in tema di associazione per delinquere va detto che l’ art. 416 bis c. p. si inserisce nell’alveo dei reati permanenti sotto un duplice profilo: per la permanenza oggettiva della struttura organizzata e per la permanenza soggettiva del vincolo del singolo affiliato al sodalizio.Sotto il primo profilo la permanenza si considera protratta fino allo scioglimento dell’associazione o fino alla riduzione degli associati in numero inferiore a tre; sotto il secondo profilo la condotta del partecipe si ritiene esaurita con la rescissione del vincolo associativo[93].

Invece per quanto riguarda l’eventuale interruzione va detto che ricorre nella pratica assai di rado l’ipotesi che l’associazione mafiosa venga sciolta o si estingua a causa di fattori esterni, mentre maggiore importanza assume la questione della cessazione della condotta del singolo partecipe. La giurisprudenza, anche di legittimità, si è spesso basata su dati di esperienza riguardanti i sodalizi mafiosi per negare a determinate situazioni l’idoneità interruttiva al protrarsi della partecipazione. Nel caso di arresto del partecipe, si è esclusa l’interruzione della permanenza atteso che, in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività e, dal’’altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento[94]. Se si eccettua, quindi, l’ipotesi in cui sia accertata la dissociazione volontaria del partecipe (ad esempio attraverso un’affidabile collaborazione con la giustizia), la giurisprudenza postula una permanenza tendenzialmente inestinguibile della condotta dell’associato mafioso. In sostanza la sorte della responsabilità penale del partecipe è parallela alla sorte della sua organizzazione illecita di riferimento; finché essa rimarrà in vita ed egli potrà essere richiamato ad offrirle il proprio fattivo contributo, anche senza compiere alcuna altra azione concreta, l’associato sarà passibile di pena[95].

L’applicabilità dell’art. 81, cpv., c. p. nell’ambito invece dei reati associativi presenta diversi profili problematici.

La giurisprudenza di legittimità tende ad escludere la ricorrenza della continuazione tra reato associativo e reato-fine, specie per i delitti di stampo mafioso[96], affermando che l’adesione ad un’organizzazione con l’intento di offrire disponibilità ai sodali per la realizzazione di una serie indeterminata di reati non può assimilarsi al precipuo disegno criminoso di cui all’art. 81, cpv., c. p. che deve legare i singoli e specifici delitti[97].

Pur se in linea di principio non si nega che nel programma criminoso dell’associazione, specie di quella mafiosa, sin dall’inizio possano essere individuati nelle loro linee essenziali uno o più reati-fine, che pertanto possono essere coperti insieme al reato associativo da un unico disegno criminoso[98], nella pratica appare assai difficile dare applicazione alla norma di cui all’art. 81, cpv., c. p. in ipotesi di questo genere[99].

I giudici di merito hanno spesso escluso in linea di principio la continuazione anche tra i distinti e concorrenti reati associativi di cui all’art. 416 bis c. p. e all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990[100]; i giudici di legittimità hanno poi ritenuto che potesse essere legittimamente affermata l’appartenenza nel tempo di un soggetto ad associazioni diverse del medesimo stampo mafioso e che al contempo potesse essere negato il vincolo della continuazione tra le successive adesioni, sebbene si consideri “attribuibile al soggetto, senza soluzione di continuità, la qualifica propria degli appartenenti a quel genere di associazioni criminose (nel caso di specie quella camorrista), poiché non è sufficiente a radicare il vincolo della continuazione un generico piano di attività delinquenziale che si manifesta nel proposito di adesione e sodalizi di futura costituzione”[101].

Tutti gli ostacoli sembrano venire meno laddove si verificano le condizioni di applicabilità della disciplina del reato continuato a più condotte di partecipazione nella medesima associazione mafiosa in diversi periodi temporali, specie se vicini tra loro.

Se si afferma che il consapevole ingresso in un’associazione mafiosa comporta l’assunzione di un impegno che si protrae sino alla morte, è ben difficile escludere che ogni segmento della condotta, delimitato da una o più sentenze di condanna, rientri nell’originario programma criminoso concepito al momento dell’affiliazione.

Se si afferma che, al di là del recesso attivo (consistente nella collaborazione) e della sentenza di condanna, non vi sono in concreto altri effetti interruttivi, è ben difficile escludere che l’ulteriore protrazione della condotta non sia ricollegabile alla volontà criminosa estrinsecatasi con l’ingresso nel sodalizio[102].

Se in genere è vero che eventi imprevedibili come la detenzione e la condanna determinano una frattura che impedisce il mantenimento dell’identità del disegno criminoso che caratterizza la continuazione, questo può non essere vero in contesti delinquenziali come quelli determinati dalle associazioni di stampo mafioso nei quali periodi di detenzione o condanne definitive sono accettate dai sodali come prevedibili eventualità.

In tali casi il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva all’evento interruttivo trova la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio[103].

In realtà l’art. 81, cpv., c. p. è strumento flessibile e ben adeguato a dare sostanza alle valutazioni penali delle condotte ulteriori sottoposte all’attenzione del giudice.

Anzitutto il superamento dell’orientamento che impediva di ritenere la continuazione tra reati se il fatto precedente doveva considerarsi meno grave di quello successivamente giudicato, permette oggi di utilizzare gli strumenti sanzionatori ex art. 81 c. p. anche per fare emergere ad esempio un’eventuale accrescimento del ruolo criminale dell’affiliato nel gruppo dopo la precedente condanna; nei confronti di tale soggetto potrà essere considerato fatto più grave la successiva protrazione della partecipazione associativa e la pena potrà essere rideterminata commisurando la frazione di sanzione più consistente con riferimento alla seconda condotta. Sicchè la sentenza successiva potrà esprimere una maggiore riprovazione per le successive attività criminali.

In ogni caso la norma di cui all’art. 81 c. p. consente un aumento della pena originaria fino al triplo e offre quindi parametri sanzionatori che, ai sensi dell’art. 133 c. p., potranno essere usati o per punire in maniera mite la mera prosecuzione della militanza senza contributi rilevanti all’organizzazione o per sanzionare aspramente condotte che esprimono una pericolosità più spiccata.

  1. Il riferimento agli art del codice penale: art. 270 c.p. e 270 bis

In alcuni casi la legge prevede reati realizzabili sia nella forma meramente associativa sia nella forma a struttura complessa.

Ad esempio il delitto di cui all’art. 271 c.p. punisce chiunque “promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono di svolgere  o che svolgono un’attività diretta a distruggere o deprimere il sentimento nazionale. Tale tipo di reati hanno dato luogo a minori controversie interpretative[104]. Lo scopo del divieto consiste nell’eliminazione di tutti i fattori di turbamento nel processo di decisione politica, ed in primo luogo di quelli che tendono a sostituire alla suggestione delle idee quella della forza. Il divieto tra l’altro trova giustificazione dalla mera idoneità dell’associazione a turbare il mero procedimento di formazione delle convinzioni politiche dei cittadini, e non nel ricorso al conflitto armato come strumento di lotta politica che ricade nelle diverse figure criminose della banda armata (art. 306 c.p.[105]) e dell’associazione con finalità di terrorismo e di eversione (art. 270 c.p. bis)[106].

Per la configurabilità dell’ipotesi delittuosa dell’art. 270 bis è sufficiente la costituzione di un’associazione che aggiunga agli schemi normativi suoi propri quelli contenuti nel detto articolo, che si sostanziano unitariamente, a parte le specificazioni, in comportamenti finalizzati a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato nelle sue varie articolazioni e a travolgere in definitiva il suo assetto democratico e pluralistico. La noma appresta tutela, quindi, contro il programma di violenza e non contro l’idea, anche se questa è collocata in un’area ideologica in contrasto con l’assetto costituzionale dello Stato. L’idea infatti anche se di natura eversiva, ma non accompagnata da programmi e comportamenti violenti, riceve tutela proprio da tale assetto, che ha consacrato il metodo democratico e pluralistico e che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere[107]. Nella valutazione poi dei profili di costituzionalità dei reati di associazioe politica, dubbi ancora maggiori sono rilevati dall’art. 270 c.p.

L’intento di tale articolo era di colpire alcune associazioni in ragione della loro ideologia politica rivoluzionaria, intento che da taluno[108] viene considerato sufficiente a concludere per l’incostituzionalità della norma.

Premesso che il limite ideologico dello scopo di stabilire la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero di sopprimere una classe sociale o, comunque, di sovvertire gli ordinamenti economici o sociali dello Stato, non può certamente fondare la legittimità dell’art. 270 c.p., poiché, in primo luogo, non essendo configurato un reato di mera apologia o propaganda di tali comportamenti sovversivi, detto limite non consente di ricondurre il divieto penale alla proibizione di cui all’art. 18 comma 1 Cost[109], deve essere in secondo luogo, rilevato che l’antidemocraticità o il sovversivismo dello scopo finale del programma ideologico-politico non basta a determinare l’illeicità dell’associazione, poiché ciò che il nostro ordinamento respinge è solamente l’antidemocraticità dei mezzi. Ed infatti spesso lo scopo finale antidemocratico può essere perseguito anche con gli strumenti che offre il sistema democratico, ovvero può comportare solo in via subordinata od eventuale l’uso della violenza[110].

L’art. 270 c.p. introduce dunque un limite ideologico estraneo alla nozione di metodo democratico accolta dall’art. 49 Cost., ed altresì un limite di ordine pubblico ideale parimenti incompatibile con gli altri artt. 18 e 21 Cost.[111] . A questo indirizzo di pensiero si contrappongono altre argomentazioni adeguatrici dell’art. 270 c.p. al dettato costituzionale. C’è chi[112] sostiene che possa trovare giustificazione nell’obbligo di fedeltà ex art. 54 Cost e che non è stato sottolineato il collegamento con l’art. 272 c.p., che vieta ai singoli di perseguire, con la propaganda e l’apologia, le stesse finalità[113]. Infine si è prospettato che l’aspetto caratterizzante della fattispecie deve essere oggi ravvisato nel richiamo alla violenza, che imporrebbe di restringere l’applicazione alle sole associazioni dirette a trasformare violentemente gli assetti politici esistenti[114]. Tale conclusione non può però prescindere dal confronto fra l’art. 270 e l’art. 270 bis, che ha introdotto la figura criminosa delle associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.

Se l’interpretazione adeguatrice ha inteso caratterizzare l’art. 270 c.p. nell’accordo per commettere determinati fatti di violenza per la finalità indicata dalla norma, sembra difficile tracciare una linea di demarcazione rispetto alla nuova figura criminosa dell’art. 270 c.p. che avrebbe pertanto del tutto assorbito la precedente. Nel caso invece si ritenga che con l’introduzione dell’art. 270 bis c.p. si sia voluto conferire specifico rilievo ad un’effettiva azione sovversiva violenta, l’art. 270 c.p. conserva di certo una sua autonoma configurazione contemplando un’ipotesi in cui l’elemento della violenza non si concretizza in un piano criminoso, ma in un programma generico e spesso meramente eventuale di violenze, collegato ad un fine ideologico-politico rivoluzionario. In tal caso, però il peso dell’origine storica dell’art. 270 c.p, riacquista anche tutto il suo valore condizionante e sarebbe improprabile dubitare della costituzionalità di esso[115].

Pertanto tutto ciò rilevato si può affermare che, la illeicità dell’associazione può derivare concretamente da un concreto programma di violenze e di prevaricazioni antidemocratiche: quindi, conseguentemente, la legittimità dell’art. 270 c.p. potrebbe affermarsi in base al riferimento al metodo violento, che costituisce elemento essenziale del reato di cui all’art. 270 c.p., quale metodo di lotta che l’associazione deve proporsi per conseguire i suoi scopi rivoluzionari. Infatti si potrebbe ritenere[116] che, l’accordo sul metodo violento implica necessariamente accordo per commettere reati e, quindi l’art. 270 c.p. troverebbe la fonte della sua legittimità nel fatto di essere attuazione del limite di cui all’art. 18 comma 1 Cost.

Tuttavia va anche notato che, se i soci si sono accordati sin dall’atto costitutivo per commettere più delitti determinati, ne consegue che, essendo il fatto associativo già previsto dall’art 416 c.p.[117] o dall’art. 305 c.p. la mancata applicazione di uno di questi ultimi a vantaggio della norma speciale e più rigorosa di cui all’art. 270 c.p. potrebbe configurare una violazione del principio di euguaglianza, poiché la maggior pena comminata dall’art. 270 c.p. può non trovare ragionevole fondamento nel fatto che l’associazione per delinquere si è posta un fine ideologico-politico: o meglio da un partciolare fine politico corrispondente ad alcune determinate e specificate ideologie politiche. Sotto il profilo del principio dell’offensività del fatto-reato, perché, se è possibile ravvisare un effettivo pericolo di danno nell’associazione diretta a commettere più reati determinati, tale situazione di pericolo si attenua notevolemente allorchè, anticipando la soglia di punibilità, si punisce l’associazione che ha un generico, e spesso solo eventuale, programma di violenza[118]. Con l’ulteriore conseguenza che per mettere la norma al riparto dai dubbi d’incostituzionalità sotto questo profilo, sarebbe necessario comminare una pena inferiore a quella prevista per il reato di associazione per delinquere o, almeno, di cospirazione mediante associazione[119].

Tantomeno, infine, la norma di cui all’art. 270 c.p. potrebbe trovare il fondamento della sua legittimità costituzionale nell’art. 49 Cost.; che impone ai partiti il rispetto del metodo democratico. Un tale ragionamento, muovendo dalla premessa, da un lato, che un’associazione che si propone di instaurare la dittatura di una classe sociale sulle altre, ecc, è qualificabile come partito politico ai sensi dell’art. 49 Cost., e dall’altro, che i partiti politici debbono rispettare il metodo democratico, giungerebbe alla conclusione che un partito che si proponga l’uso della violenza lede il principio del metodo democratico esterno[120], ponendosi fuori delle garanzie costituzionali, con l’ulteriore conseguenza della legittimità della sanzione penale. Da un confronto tra le due norme costituzionali, dell’art. 18 e dell’art. 49 sembra, però, di poter concludere che solo la prima pone i divieti all’esistenza di determinate associazioni, mentre la seconda si limita a stabilire il requisito indispensabile affinchè un’associazione politica possa concorrere legittimamente alla politica nazionale come partito, astenendosi pertanto da specifiche condotte concretamente violente[121]. Il mancato rispetto di questo limite, quindi, avrà come conseguenza oltre la responsabilità per il singolo episodio criminoso, l’esclusione dell’associazione dal godimento delle garanzie costituzionali prorprie del partito, e cioè la sua inesistenza come partito[122].

[1] Come ad esempio l’obbligo di aderire o non aderire ad una associazione, l’impegno ad associarsi o non associarsi entro e per un certo termine, l’impegno a sopportare un determinato sacrificio patrimoniale in caso di recesso. Cfr. Guzzetta G., Il diritto costituzionale di associarsi, Milano 2003.

[2] Si ricorda che al concetto di libertà nel corso della storia umana sono stati dati significati del tutto contrari: per molti ad esempio, la libertà è l’assenza totale di ogni potere e di ogni condizionamento nei confronti della volontà dei singoli, mentre per molti altri è, all’opposto, la consapevole o volontaria adeguazione dell’individuo all’ordine universale o alla necessità del tutto, per alcuni, poi, la libertà comporta il non assoggettamento a qualsiasi norma, mentre per altri essa denota la sottoposizione ad una norma giusta o razionale; per alcuni, ancora la libertà significa partecipazione alla vita collettiva e politica, per altri, invece, significa ritiro dal mondo, o rifugio nel proprio io; per alcuni, infine la libertà consiste nel seguire le proprie inclinazioni naturali, quando non i propri istinti, per altri, invece, si identifa nella disciplina razionale delle proprie inclinazioni o dei propri istinti. Sono tutte alternative che hanno la loro origine nelle diverse teorie che ciascuno può avere sulla natura dell’uomo, sulla concezione del mondo, sull’idea di società e delle relazioni sociali. Cfr. Hegel G.W. Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), trad.it. Bari 1967, Jemolo A.C. Libertà (aspetti giuridici), in Enc. Dir. XXIV, Milano 1974 p. 268 ss., Haiker F., La società libera, trad. it.Firenze 169, Montesqieu C., Lo spirito delle leggi, 1748, trad. it. Torino 1965, Baldassarre A., Libertà, in Enc. Dir. XXIV, Milano 1974.

[3] Sul punto Jemolo A.C., Libertà (aspetti giuridici) in Enc. Dir., Milano XXIV, 1974, 269 SS. Grossi P., Il diritto costituzionale tra principi di liberta e istituzioni, Padova  2005.

[4] E’ chiaro che la libertà nella formazione del vincolo non si esaurisce nella scelta se associarsi o meno, ma anche nell’accettazione, conseguente ad essa, dell’assetto associativo preddisposto o accettato per quell’associazione. Detto in altri termini, non solo l’an, ma anche il quomodo ed il quando attengono alla formazione del vincolo. Cfr. Guzzetta G., op. cit. p. 127 e Grossi P., op. cit. p. 287.

[5] Per la giurisprudenza che ha riconosciuto l’illegittimità delle clausole che vietano il recesso, indicazioni in Basile M., L’ intervento dei giudici nelle associazioni,  Milano 1975.

[6]  Cfr. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Padova 2005.

[7] In questo senso Mazziotti Di Celso M., Lezioni di Diritto Costituzionale,  Milano 1993, p. 298 ss.

[8] Cfr. art. 24 c.c. per le associazioni riconosciute e anche se e nella misura in cui vengono ricostruiti fenomeni associativi gli artt. 2285,2307,2526 c.c. che contemplano varie fattispecie di recesso del socio. Nel senso della nullità delle clausole statutarie che escludono il diritto di recesso o lo rendono troppo difficoltoso, cfr. tra gli altri Bianca C. Diritto Civile I, la norma giuridica, i soggetti, Milano 2001 p. 341, Galgano P., Delle persone giuridiche in Comm. Cod. civile diretto da Scialoja Branca, Bologna 1969 p. 317.

[9] Per riprendere l’espressione di Grossi P., op.cit. p. 288 in critica a Smuraglia A., In tema di accordi interconfederali per la disciplina dei licenziamenti nell’industria, in Riv. giur. Lav., 1956, p. 73 ss.

[10] Così per esempio il campione in un’attiviità sportiva  che, per le particolari caratteristiche, può essere svolta a livelli professionali solo per un arco di tempo circoscritto di anni, potrebbe impegnarsi a rimanere legittimamente vincolato ad un certo club o ad una certa squadra, in termini assai più limitati di colui che praticasse un’attività suscettibile di svolgimento indefinito nel corso della vita. In questo senso ad esempio De Giorgi M.V., La tutela del singolo nelle formazioni sociali, in Alpa G., Bessone M.,Boneschi L., Caiazza G.D. (a cura di) , L’informazione e i diritti della persona, Napoli 1983, p.195, che riprende anche considerazioni di Galgano F. In senso conforme cfr. Cass. civ. 10 aprile 1990, n. 2983, in Nuova giur. Civ. comm. 1991, I, p. 6 con nota di Basile M., Le federazioni sindacali tra controlli pubblici e poteri delle confederazioni di appartenenza, p. 12 e Cass. civ. I sezione 9 maggio 1991, n. 5191, ivi 1992, I, p. 308 ss. con nota di Fusaro A., Guarentigie costituzionali e principi generali in tema di associazioni, p. 312 ss. e De Renzis L., Recesso da associzioni non riconosciute ed obbligo di pagamento dei contributi, p. 615.

[11] Cfr. Guzzetta G., op cit. p. 128.

[12] La garanzia dell’aspetto teolologico della libertà di associazione è contemplata dal principio che pone la sola legge penale come fonte della qualificazione degli illeciti delle associazioni, con l’ulteriore precisazione che un’associazione non può essere dichiarata illecita che quando si prefigga uno scopo che la legge penale vieta al singolo partecipante. Cfr. Barile P., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, Palazzo F., Associazioni illecite e illeciti delle associazioni in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1976, p. 418 ss.

[13] Qualora non abbiamo tale carattere, esse, o meglio le persone incrinabili a norma dell’art. 271, dovrebbero essere protrette dall’art. 21 Cost. sempre che le circostanze elencate nelle disposizioni penali si traducano in manifestazioni di pensiero consentite dalla Costituzione. Cfr. Lavagna C. Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1984 p. 459.

[14] A norma, dell’art. 7 della legge  n. 152 del 1975 che ha modificato la legge n. 645 del 1952, si ha riorganizzazione del partito fascista tutte le volte che un’associazione un movimento o un gruppo di almeno 5 persone persegua fini antidemocratici propri del partito fascista, esaltando ed usando la violenza quale metodo di lotta politica, denigrando la libertà e le istituzioni democratiche e propugnando la soppressione svolgendo propagamda razzista, facendo apologia dei principi e dei mtodi del fascsismo, ovvero compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista. Anche la Corte Costituzionale si è espressa in tal senso ha infatti affermato nella sentenza n. 1 del 1957 , che l’art. 4 della legge del 1953, che punisce l’apologia del fascismo, non contrasta ne con la XII disposizione transitoria, ne con l’art. 21 della Costituzione, poiché l’apologia del fascsimo, per assumere la natura di reato, deve consistere in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista, deve cioè consistere nella c.d. istigazione diretta. In successive sentenze n. 74 del 1958 e n. 15 del 1973 la Corte, con riferimento all’art. 5 della legge suddetta, ha dichiarato che sono già punibili quelle manifestazioni del pensiero che possono determinare il pericolo di ricostituzioni di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute.

[15] Va rilevata la circistanza che la disciplina del diritto di associarsi , così come avvine per la gran parte delle libertà costituzionali (ma eccezioni evidenti sono costituite dalle libertà di manifestazione del pensiero e corrispondenza) non si esaurisce a livello costituzionale, ma può trovare legittima integrazione sul piano subcostituzionale. La circostanza vale con evidenza, per la disposizione di cui al primo comma dell’art. 18 Cost., la quale identifica in via residuale le situazioni garantite, esckudenso solo quelle che attengono ai fini vietati ai singoli dalla legge penale. È dunque nel potere del legislatore ordinario seppure con osservanza della riserva doppiamente rinforzata di contribuire a definire concretamente in quali casi l’associarsi possa costutuire una pretesa costituzionalmente non tutelata. Cfr. Guzzetta G., op. cit. p. 324 ss.

[16] Applicando quest’ultimo ordine di pensiero la Corte Costituzionale (sent. 243/2001) ha di recente, dichiarato illegittimo l’art. 271 c.p. (punitivo delle condotte di promozione, costituzione, organizzazione e direzione delle associazioni che si propongono di svolgere o che svolgono attività dirette a deprimere il sentimeno nazionale) in considerazione della liceità penale (a seguito di dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 272 c.p. con sent. N. 87 del 1966) dell’analogo comportamento (propaganda ed apologia sovversiva ed antinazionale) posto in essere dal singolo. Per alcuni problemi di legittimità concernenti talune fattispecie associative vietate cfr. De Vero G., I reati associativi nell’odierno sistema penale. (Relazione svolta al XXI Convegno Enrico De Nicola su “I reati associativi”, organizzato dal centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Courmayeur Monte Bianco, 10-12 ottobre 1997. ) in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1998, fasc. 2, pagg. 385-413.

[17] Ma è evidente che in tale settore possono operare anche i principi ed i criteri desumibili dall’ordinamento penalistico complessivamente considerato.

[18] Si consideri ad esempio come in base al combinato disposto tra art. 18 e 25, comma 2 Cost. l’eventuale efficacia retroattive del divieto di un certo tipo di associazioni rispetto al corrispondente divieto penale ai singoli equivarrebbe ad una illegittima alterazione, relativamente al passato, della necessaria corrispondenza della illiceità del comportamento individuale e illiceità dell’associazione. E si pensi ancora alle esigenze di tassatività e tipicità delle fattispecie incriminatrici, dalle quali in via mediata, la Costituzione impone vadano ricostruiti i fini associativi sotratti alla protezione costituzionale. Guzzetta G., op. cit. p. 237 ss.

[19] In questo senso chiaramente Esposito C., La libertà di manifestazione, Milano – 1962  p. 49, là dove afferma che il primo comma dell’art. 18 Cost. consente di vietare (anche se non vieta direttamente) l’associarsi.

[20] Ovvero, tutto al contrario di affermare il disvalore attraverso un giudizio di illiceità che, piuttosto che alla stregua del diritto penale, potrebbe anche limitarsi alla sfera della normativa civilistica o amministrativistica.

[21] In questo senso con riferimento alle fattispecie non espressamente garantite né espressamente vietate in Costituzione: Esposito C., La libertà di manifestazione, p. 48, Grossi P., I diritti di libertà, p. 199 e Guzzetta G., Considerazioni su di una sentenza in tema di c.d. “Libertà sociale” in rapporto agli artt. 16, 17, 18 e 21 Cost. ed al regime costituzionale dei diritti di libertà in Giurisprudenza costituzionale, 1998, fasc. 2, pagg. 585-601 p. 601 ss.

[22] Va ricordato a tal proposito che la tradizione di quest’istituto l’associazione per delinquere a differenza di quanto previsto per gli accordi criminosi di cui all’art. 115 c.p. e conformemente a quanto statuito dagli art. 304 e 305 c.p. riguardo alla cospirazione poltica è sanzionata dall’art. 416 c.p. solo nell’eventualità che i reati scopo siano dei delitti. Cfr. Ranelletti O., La polizia di sicrezza, p. 552 e Nuvolone N., Norme penali e principi costituzionali, in Giur. Cost. , 1956, p. 1267.

[23] Malgrado ciò, però non tutti gli spazi possono dirsi preclusi all’intervento normativo sub-costituzionale. A meno di non ritenere, infatti, che la Costituzione abbia voluto imporre al legislatore un obbligo di tutela penale si deve intendere che a questo rimanga ancora aperta la possibilità di limitare la qualificazione antigiuridica nell’ambito delle disposizioni civili o amministrative. Cfr. De Francesco G., Societas sceleris, tecniche repressive delle associazioni criminali, in Riv. it. Dir. e proc. Pen, 1992, p. 90 ss.

[24] Sul problema per tutti Pace A., La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici comuni in Riv. trim. dir. proc. Civ., 1989, p. 230 ss.

[25] Sul problema anche se con riferimento alle associazioni politiche, cfr. l’ampia disamina di Brunelli G., Struttura e limitidel diritto di associazione politica, Milano – 1991  p. 210 ss., la quale tra l’altro ricorda il dibattito ed in particolare la proposta in tal senso formulata da Mortati nell’ambito della Commissione Forti, intorno all’ipotesi di previsione di una riserva di giurisdizione per lo scioglimento delle associazioni.

[26] I poteri dell’autorità amministrativa in questo campo appaiono perciò alla stregua dell’art 1 Cost., fortemente ridimensionati: quelli rienetranti nel campo della prevenzione ivi compresa l’introduzione di un regime generale di pubblciità, esclusi dal divieto di autorizzazione ( sulla tendenziale incompatibilità con l’art. 18 Cost. di un penetrante sistema di pubblicità Barile P., Associazione (diritto di ), in Scritti di diritto costituzionale, Padova 1967 p. 342 e in generale v. Robert J., Propos sur le sauvetage d’une libertè, in Rev. Dr. Publ., 1971, p. 1171 ss) quelli successivi e repressivi o comunque preordinatri alla protezione dell’ordine pubblico, parimenti vietati, ove non trovino legittimazione nell’applicazione di una legge penale

[27] In questo senso Pace A., Commento, p. 232 ss; De Siervo U., Associazione, (diritto di) in Enc del dir. p. 492 ss. e spec. 499 il quale quantomeno con riferimento alle associazioni non garantite ai sensi dell’art. 18, comma 1, Cost. si esprime in termini di necessità di un intervento del giudice penale e invoca a conferma la sent. 114/1967, la quale peraltro non offre una espressa soluzione in questo senso. Giunge alle medesime conclusioni di De Siervo anche Mazziotti Di Celso M., Lezionidi diritto costituzionale, Milano 1993p. 301 ss.

[28] Salva restando la questione dei limiti di legittimità di un’attività di prevenzione. In questo senso cfr. Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero, p. 23, per il quale non è esatto che sia vietata alle leggi, in modo specifico, di impedire le manifestazioni vietate, perché in linea di principio quando una manifestazione è vietata le leggi hanno questo potere.

[29] La dififcoltà di ravvisare nella legge penale un divieto ha condotto la Corte Costituzionale a dichiarare l’incostituzioanlità di disposizioni che prevedavano nei confronti di associazioni misure restrittive non fondate su di un precetto penale: ad es. dall’affermazione che da uno stato di libertà è consentita l’attività di associazioni che si propongano anche il mutamento degli ordinamenti politici esistenti, perché questo proposito sia perseguito con metodo democratico mediante il libero dibattito e senza ricorso, diretto o indiretto alla violenza fu fatta discendere l’incostituzionalità dell’art. 210 t.u.p.s. 1931, che contemplava un potere prefettizio di scioglimento delle associazioni contrarie all’ordine nazionale dello stato o agli ordinamenti politici costituiti nello stato (C. cost., sent. N. 114 del 1967, in Giur. Cost. 1967, 1249 ss.; sull’art. 210 v. Barile P., La salutare scomparsa del potere prefettizio di scioglimento delle associazioni, in Giur. Cost.1967, p. 1250 ss., Cheli E., Libertà di associazione e poteri di polizia: profili storici, in La pubblica Sicurezza a cura di P. Barile, Vicenza, 1967, p. 272 ss.

[30] Per tale tesi secondo cui dall’art. 18 Cost, non si desumerebbe una necessaria riserva di giurisdizione Cfr. Cerri A., e Patrono M., Libertà di associazione: una legge di attuazione, in Documenti giustizia, 1994, n.1-2, 22 anche se gli autori escludono sembrerebbe per ragioni di opportunità, l’intervento dell’autorità amministrativa con funzioni diverse da quelle meramente esecutive.

[31] Sul punto cfr. Brunelli G., Struttura e limiti, p. 212 ss. Per l’ipotesi di scioglimento ministeriale delle associazioni neofasciste cfr. L. 645/1992 , rispetto al quale De Siervo U., Associazioni, p. 495, afferma che esso sembra essere configurato come atto dovuto dalla legge, che ha teso a ridurre evidentemente lo spazio per discrezionalità poltiche in una materia delicata come questa. Il che sembra essere senz’altro vera in base alla lettera dell’art. 3 della legge 645/1952, anche se lascia comunque aperto il problema della legittimità di una soluzione legislativa differente. Sul problema anche Pace A., Commento all’art. 18, p. 232 ss.

[32] In questo senso Mortati C., Legittimità ed opportunità della legge sulle paramilitari (1948) ora in Raccolta di scritti, Milano, III, 1972, p. 32. Nello stesso senso in base ad una valutazione possibilistica dello scioglimento da parte di organi amministrativi, Barile P., Associazione, p. 848 ss. Id Le libertà, p. 200 ss. Sul problema anche Virga P., La potestà di polizia, Milano 1954, 185 ss.

[33] In forza del riferimento indiretto alla legge penale.

[34] In questo senso con argomentazione condivisibile, Pace A., Commento, p 231, anche se l’autore giunge poi alla conclusione di una necessaria riserva di giurisdizione in tema di scioglimento. Sul punto cfr. anche C. Stato, sez IV, 21 giugno 1974, n. 452, in Giur. It., 1975, III, 1,1 ss. e Petta P., Il primo caso di applicazione della legge Scelba, in Giur. Cost., 1974, p. 485 ss. Da notare però che l’argomentazione criticata si riferisce al primo comma dell’art. 18 Cost., diversamente ponendosi il problema riguardo ad altri limiti alle associazioni, come ad esempio quello della segretezza: per l’impossibilità in quest’ultimo caso, di poteri amministrativi discrezionali, Dew Siervo U., La libertà di associazione, p. 205 ss e Pace A., Problematica delle libertà costituzionale, Padova1985, p. 351 ss.

[35] Sul problema per tutti Pace A., Problematica, p. 375, nonché con riferimento alle associazioni politiche Brunelli G., Struttura e limiti, p. 231 ss.

[36] Il concetto di ordine pubblico non va confuso con quello, più ampio, di ordinamento giuridoico dal momento che questo ultimo, inteso come sistema di norme e di enti pubblici e privati, fa riferimento a tutte le manifestazioni della vita del diritto. In tal senso, v. fra gli altri Antolisei G., Manuale di diritto penale parte speciale , Milano, 1997; Fiandaca G., Criminalità organizzata e controllo penale , in Indice pen ., 1991, pag. 5; Marini A., Ordine pubblico (delitti contro) , in Novissimo Digesto Italiano, Appendice , 1984, V, pag. 569. Parimenti, la dottrina ha specificato che l’ordine pubblico non va confuso con quell’che viene spesso chiamato ordine pubblico generale cioè quello assetto di norme e istituzioni, interne ed esterne, che permette alla società di vivere e prosperare. In tal senso, v., fra gli altri, De vero A., Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi , in Riv. It ., 1994, pag. 1266; Fiandaca G., op. cit .; Ferrajoli F., Ordine pubblico e legislazione eccezionale , in Questione criminale , 1977, pag. 361. Infine, si è precisato come l’ordine pubblico non si identifichi neanche con ciò che è stato definito «ordine pubblico costituzionale» cioè l’insieme delle norme ispirate alla nostra Carta Costituzionale che si pone alla base della pacifica convivenza civile. V., in tal senso, Corso F., Ordine pubblico , in Encicl. Dir , XXX, 1980; Paladin L., Ordine Pubblico , in Novissimo Digesto Ital ., XII, 1965, pag. 130.

[37] È sintomatica la dizione usata dal costituente che espressamente come dimostrato dai lavori preparatori la preferì all’altra: “per scopi che non contrastino con le leggi penali” che era stata proposta dal Consiglio di Stato. La preferenza fu dovuta come spiegò un deputato al fatto che si volle dettare il seguente preciso precetto “tutto quello che un cittadino può fare da solo, che può compiere senza urtare i precetti della legge penale, può essere oggetto a scopo di associazione. Cfr. Basso A., in Verbali A.C., 2676.

[38] Come invece è stato implcitamente affermato da C. Cost. sent. 26 del 1976, in Giur. Cost., 1976, I, 95 ss.

[39] Barile P. Associazione (diritto di), op. cit. p. 132 ss.

[40] L’art. 18 Cost. è fra le più liberali di quelle contenute nelle moderne costituzioni: la sfera di libertà infatti contenuta nella disposizione costituzionale è più ampia perfino di quella contenuta in dichiarazioni internazionali.naturalmente questo non significa che particolari requisiti non possano essere richiesti dal legislatore ordinario perché le associazioni possano svolgere determinate attività: viene esattamente osservato che è costituzionalmente lecito porre degli oneri e delle regole finali, che andranno osservate soltanto qualora si vogliano ottenere determinati speciali fini. L’inosservanza di tali regole produrrà il mancato conseguimento di quei fini., ma non renderà perciò solo illecite le associazioni costituite. Cfr. Barile P., Associazione (diritto di) in Enc. del dir. p. 845 ss.

[41] Appare logico e correttoc che sia così, perché altrimenti sarebbe stato implicitamente conferito al legislatore un potere discrezionale di limitazione della capacità di agire della associazioni anche al di la delle limitazioni imposte ai singoli: e ciò sarebbe in contrasto con la parità di capacità per tutti i soggetti privati che il costituente ha voluto affermare. Quindi inesatta è l’esegesi che talvolta si trova adottata e che parifica l’espressione del testo costituzionale a quello di associazioni vietate dalla legge penale: le associazioni a delinquere per esempio, sono vietate in quanto e soltanto perché tendono a conseguire scopi delittuosi che sono vietati anche ai singoli.Cfr. Barile P, op. cit.

[42] Proprio in considerazione di tale necessaria distinzione e corrispondenza tra divieto penale al singolo ed esclusione della garanzia dell’associazione che persegua le medesime finalità, la Corte costituzionale ha potuto rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 180 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in base alla quale è stata riservata alla S.I.A.E. (Società italiana per gli Autori ed Editori) “l’attività di interme­diario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di cessione per i diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione e di riproduzione meccanica e cinemato­grafica di opere tutelate”. L’argomento adottato dalla Corte è stato, com’è noto, quello fondato sulla previsione, contenuta nella medesima legge (quella di cui all’art. 172), dell’incriminazione di “chiunque eserciti l’attività di intermediario in violazione” di quanto previsto dalla legge stessa.

[43] Per la considerazione che “il ricorso alla riserva di legge rinforzata operi chiaramente in direzione antifunzionale, ponendo un limite sia ad un incerto ancoraggio della tutela costituzionale a formulazioni elastiche, sia ad un’integrale remissione della materia all’intervento legislativo”

[44] Sottolineano questo aspetto, in particolare, Mezzanotte, C., Libertà di manifestazione del pensiero, Roma 1984 ss, 1576 e Pace, A., Problematica delle liberta costituzionali. Parte speciale, Padova, 2002. Le conseguenze sul piano della legittimità costituzionale di taluni reati associativi sono state in dottrina e in giurisprudenza ampiamente dimostrate.

[45] Particolarmente chiaro in questo senso, Barile, P., Diritti dell’uomo, cit., 193 e, già, ID., Associazione, cit., 844.

[46] “L’essenza del reato plurisoggettivo, infatti, esige che la condotta di ciascun agente, per essere punita, si coniughi con la condotta di altri agenti, in modo da trovarsi in una relazione, oggettiva e soggettiva, con quell’altra condotta” così Montanara, G., Reato plurisoggettivo, in Enc. giur., XXXVIII, Milano 1987, 870. In generale Mantovani, F., Diritto penale. Parte generale, Padova, 2003, 524.

[47] Per tali distinzioni Mantovani, F., Diritto penale, Padova 2007, 239 s. e, per la distinzione con i reati-plurisoggettivi propri, ivi, 524.

[48] Sul punto Vassalli, G., Accordo (diritto penale), in Enc. dir., I, Milano 1958, 302. Così, per fare qualche esempio, si pensi alle ipotesi di bigamia (art. 556, comma 1 c.p.); di incesto (art. 564 c.p.); corruzione per un atto d’ufficio (artt. 318 e 320 c.p.) o per un atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319, 319 ter e 320 c.p.); di commercio con il nemico (art. 250 c.p.) potendosi, in queste ultime due ipotesi, il reato consumarsi, com’è noto, anche con l’accetta­zione della promessa e dunque con la mera conclusione dell’ac­cordo. Si pensi inoltre alle ipotesi adesso abrogate della congiunzione carnale nelle ipotesi di cui ai numeri 1 e 2 del comma 2 dell’art. 519 c.p. ed al recente art. 609 quater c.p. (numeri 1 e 2) quando vi sia il consenso del minore; all’altra ipotesi di cui sempre all’art. 609 quater, comma 2, c.p; alla vecchia ipotesi della corruzione di minorenni (art. 530 c.p.) all’usura (art. 644 c.p.); al millantato credito (art. 346 c.p.). Infine, si può ricordare, senza peraltro pretesa di completezza, il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.); la ricettazione (art. 648 c.p.); la vendita o l’acquisto di cose con impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione (art. 470 c.p.); la vendita di chiavi o grimaldelli a persona sconosciuta (art. 710 c.p.); l’acquisto di cose di sospetta provenienza (c.d. incauto acquisto: art. 712 c.p.). È evidente, infatti, che nella totalità dei casi enunziati il com­portamento o non potrebbe strutturalmente venire posto in essere dal singolo, e quindi ad esso non potrebbe essere singolarmente vietato (si pensi alla bigamia o all’incesto), o, se compiuto isolatamente, non costituirebbe, comunque, di per sé reato (si pensi alla ormai abrogata ipotesi degli atti di libidine i quali, purché non commessi alla presenza di un minore di anni sedici, non avrebbero costituito una fatti specie criminosa).

[49] Sulla libertà di associzione cfr. Sica A. Le associazioni nella Costituzione italiana, Napoli 1957, Barile A., Associazione (diritto di) in Enc.Dir. III, 1958, Quadri C., Libertà di associazione e corporazioni pubbliche a struttura associativa, in Foro It. 1962. Sul particolare problema delle associazioni segrete v. Meloncelli C. Assoziazioni segrete e diritto di associazione, in Dem. Dir. 1981.

[50] Si può ricordare a titolo di esempio, che la segretezza di una determinata associazione può incrinare il principio di imparazialità amministrativa ( i pubblici uffici sono organizzati seocndo disposizioni  di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, art. 97 Cost. ) l’autonomia dell’ordine giudiziario (la giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti solatanto alla legge, art. 101 Cost.) , il carattere rappresentativo delle assemblee elettive (ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, art 67 Cost.), la democraticità ed il pluralismo della competizione politica (tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a detetminare la politica nazionale, art 49 Cost), la libertà e la personalità del voto (il voto è personale, libero e segreto, art. 48 Cost). sembra evidente che qualora si consentisse alle associazioni di organizzarsi e di agire segretamente la salvaguardia effettiva di tali principi risulterebbe difficile. Cfr. Rolla G., La tutela costituzionale dei diritti, Milano 2003 p. 75.

[51] Occorre inoltre non confondere la segretezza di un’associazione con la riservatezza della stessa. Non è costituzionalmente vietato tenere riservati i nomi e le qualità degli aderenti ovvero i particolari di funzionamento di un’associaizione, quanto occultarne l’esistenza, rendendo sconosciuti i soci (anche reciprocamente tra gli aderenti all’associazione) e tenendo segrete le finalità e le attività della stessa. Inoltre va detto che il divieto costituzionale si deve applicare unicamente a quelle associazione che sono concretamente suscettibili di interferire con i principi costituzionali Cfr. Rolla G., op. cit. p. 76.

[52] Firpo L., La stampa 7 giugno 1981.

[53] Cfr. Bortolani C., Guida alla Costituzione, Bologna 2003, p. 103.

[54] Salvo i dubbi già creatisi nel 1978 ed esposi nel 1981, in ordine alla loggia massonica “P2” sospettata, anche in sede penale, di cospirazione contro l’ordine democatico. V. in proposito la relazione del Comitato amministrativo d’inchiesta, trasmessa al Senato il 13 giugno 1981, il parere del Consiglio di Stato del 24 giugno 1981, la Relazione della Commissione d’inchiesta parlamentare costituita con legge 23 settembre 1981, n. 527 e la legge 25 gennaio 1982, n. 17, con la quale si è sciolta detta Loggia. Cfr. Lavagna C. Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1984 p. 457. La Massoneria non è stata considerata poi all’inzio una associazione segreta, essendo noti a tutti i suoi programmi, i suoi dirigenti e la sua sede. Cfr. Carullo V. La Costituzione della Repubblica Italiana. Illustrata con i lavori preparatori, Bologna 1950, p. 59. Va ricordato altresì anche che prima della legge n. 17 del 1982 vi era allora una norma, successivamente modificata, contenuta nel Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, che prevedeva sanzioni disciplinari applicabili però soltanto nei confronti di pubblici dipendenti iscritti ad associazioni operanti anche solo in parte, in modo clandestino ed occulto, o i cui soci erano vincolati dal segreto (art. 220 T.U. leggi di pubblica sicurezza). Nessuna legge però impediva alla generalità dei cittadini non funzionari, né impiegati civili o militari dello Stato o di altri Enti pubblici di aderire a società segrete. Cfr. Bortolani C. op. cit. p. 103 ss.

[55] Associazioni criminose erano già state peraltro considerate quelle qualificabili come mafia, vista la legge 31 maggio 1965, n. 575 ora estesa alla camorra Cfr. Lavagna C op. cit. p. 457.

[56]  Cfr. Cassarino C., Le associazioni segrete, in Dir. e Giust., 1950, p. 232 ss.

[57] On Della Seta, in Ass. Cost., seduta dell’11 aprile 1947, in Cost. Rep. nei lavori preparatori, I, p. 812 ss.

[58] On. Cappi, in Ass. Cost., seduta dell’11 aprile 1947, in Cost. Rep. nei lavori preparatori, I, p. 815 ss.

[59] Così, invece, Esposito C., Costituzione Italiana, p. 162. Ma l’opinione è assai diffusa e traspare anche in quegli autori che giustificano la legittimità dell’art. 209 t.u.l.p.s. ancorandola alla prescrizione in commento ( così ad esempio e sia pure con qualche perplessità v Barile A., voce Associazione (diritto di) in Enc.del dir, p. 845. Ma che l’art. 209 possa palesarsi lesivo della stessa libertà di associazione è prospetatto dallo stesso Barile, nonché già prima dal Cassarino C., Le associazioni segrete, in Dir. e giust, 1950, p. 228. In questo senso vedi anche Cheli A., Libertà di associazione e poteri di polizia, in Pubblica sicurezza, p. 303, e sia pure con qualche incertezza Petta E., Le associazioni anticostituzionali, in Giur. Cost. 1973, p. 746 ss.

[60] Cfr. l’art. 15 Cost.

[61] A tal proposito basta ricordare che già in Assemblea Costituente fu autorevolmente evidenziato che le associazioni previste dall’art. 18 Cost. sono quelle veramente segrete, e non quelle che per caso avessero i requisiti qua e la indicati. Cfr. On. Tupini, presidente della prima sottocommissione, in Ass. Cost., seduta del’11 aprile 1947, in Cost. Rep. nei lavori preparatori, I, p. 814. Inoltre a ritenere che segreto equivalga a non denunciato alle pubbliche autorità, dovrebbe oltretutto conseguentemente concludersi che sia segreta una società commerciale che ometta di iscriversi nel registro delle imprese o alla camera di commercio, o che manchi di dare la dovuta pubblcità ai propri bilanci, e al mutamento dell’assetto proprietario, o con mezzi che l’ordinamento qualifichi come illeciti( ad esempio  l’interposizione di un residente) nasconda l’identità dei veri titolari delle azioni o quote sociali. Art. 2 bis della legge 30 aprile 1976 n. 159 modif. dall’art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689. Cfr. Amato G., Pace A., Finocchiaro F., Commentario alla Costituzione, Bologna 1977, p. 217.

[62] ..anche se poi non si riesca in effetti a tener celato alcunchè. Contr. V. invece Pretura di Napoli, 28 novembre 1948 in Dir. e giur. 1950, p. 229.

[63] Al qual poposito sembra opportuno rilevare che la tesi che ritiene auspicabili forme ufficiali di pubblicità in relazione alle quali misurare l’eventuale segretezza (così Cassarino A., in Dir. e giur. 1950 p. 234 e Petta, in Giur. Cost. 1973, p. 746 ss.) è tre volte errata. In primo luogo perché il divieto di segretezza non equivale alla possibilità di generalizzare l’obbligo di pubblicità) questo ponendosi come strumentale al perseguimento di obiettivi costituzionalmente rilevanti) (Cfr. Pace A., Libertà di riunione nella Costituzione italiana, Milano 1967, p. 181) . In secondo luogoperchè un generale obbigo di registrazione sarebbe contraddittorialmente prospettabile per le associazioni non riconosciute di cui al codice civile, e comunque, per le associazioni di fatto. Infine perché anche se qualifficate come oneri eventuali forme di pubblciità necessaria (ove non ricollegate ad un fine costituzionalmente rilevante, diverso quindi dal controllo fine a se stesso e dalla schedatura politica) non cesserebbero di essere costituzionali, perché l’onere, in questo caso si risolverebbe in un obbligo ( Cfr. Pace A., Libertà personale ( voce), in Enc. Dir. p. 308) e l’artoclo in commento, al primo comma non prevede tale obbligo, ne consegue che l’unico modo per determinare la segretezza di un’associazione risiede nel mistero di cui essa si avvolga anche nei rapporti con i soci e con i terzi, coattivamente imponendo il segreto a chiunque.

[64] In questo senso v. anche Barile A., voce Associazione (diritto di) in Enc. Del dir. p. 845 ss.

[65] V. on Della Sete e on. Tupini in Ass. Costituente, seduta dell’11 aprile 1947, in Cost. Rep. nei lavori preparatori, I, p. 813e 814. Cfr. altresì Mortati A, Istituzioni, II, p. 1163.

[66] In questo senso vedi Treves A., Principidi diritto pubblico, Torino 1973 p. 355 ss. Mortati, Istituzioni, II, p. 1162.

[67] In questo senso v. già Pace A., Libertà di riunione p. 81 ss.

[68] Di qui la legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 212 t.u.l.p.s.. In questo senso vedi anche Mortati A., Istituzioni, II, p. 1163 e Cheli E., Libertà di associazione e poteri di polizia( Pubblica Sicurezza) p. 82 ss.

[69] Il riferimento ad organizzazioni di carattere militare, che si legge nell’art. 18 Cost., non riguarda l’utilizzazione di armi. Il divieto di organizzazioni armate è infatti ben più ampio e generale però.In proposito v. comunque la legge 18 aprile 1975, n. 110 e la successiva l. 8 agosto 1977, n. 533, ch vieta l’uso di cascshi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in occasione, fra l’altro, di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico e prescrive il sequestro, con atto motivato dall’Autorità giudiziaria , dell’immobile che sia sede di enti, associazioni o gruppi, quando in tale sede siano rinvenute armi da sparo, esplosivi, o ordigni esplosivi o incendiari, ovvero quando l’immobile sia pertinente al reato per cui si procede. Cfr. Cuocolo F., Principi di diritto costituzionale, Milano 2000, p. 385.

[70] Il che tuttavia non esclude che dal complessivo seondo comma non possa prospettarsi un’interpretazione più riduttiva, anche se meno convincente, perché meramente confermativa di una norma, quella sul metodo democratico, già altrimenti deducibile. Feram restando la valenza squisitaente politica della disposizione potrebbe infatti sostenersi che tanto il divieto per le associazioni segrete quanto la proibizione di organizzazioni di carattere militare siano direttamente connessi all’imperativo del metodo democratico di cui all’art. 49, questo sostanziandosi in forme di lotta politica che sono incompatibili con l’azione occulta e sottarenea delle società segrete. Cfr. Petta C., Associazioni incostituzionali, in giur. Cost. 1973, p. 743 ss. e On. Basso in Commissioni per la Cost., prima sottocommissione, riunione del 25 settembre 1946, in Cost. Rep. nei lavori preparatori, p. 428.

[71] In questo senso v. Petta A., Associazioni anticostituzionali, in giur. Cost. 1973 p. 741.Non può pertanto suscitare qualche perplessità la sentenza 19 febbraio 1976 n. 26 in Giur. Cost. 1976 p. 95 ss. per la rapidità e sicurezza con la quale la Corte Costituzionale ha esplicitamente affermato che l’associazione degli Schutzen operante nella provincia di Bolzano, non è dipendente o collegata con partiti politici e non ha, nemmeno indirettamente, fini politici, affermzione che può anche essere esatta, ma che comunque necessitava di puntuali accertamenti e di una, sia pur minima motivazione. Cfr. Amato G.,, Pace A., Finochhiaro F., Commentario alla Costituzione, Bologna 1977, p. 221.

[72] D.Lgs. 14 febbario 1948, art. 1

[73] D.Lgs. 14 febbario 1948, art. 2. Dal divieto sono escluse le organizzazioni costituite a fine sportivo e gli istituti di carattere culturale ed educativo. Esprime critiche al riguado il Petta A., Associazioni anticostituzionali, in Giur. Cost. 1973, p. 742.

[74] Viceversa sono state dichiarate illegittime le disposizioni del T.U.P.S. che attribuivano ai Prefetti il potere di sciogliere le associazioni ritenute contrarie all’ordine nazionale ed agli ordinamenti politici dello Stato, e ciò in quanto l’art. 18 consente anche le associazioni che intendono mutare radicalemente questo ordine purchè agiscano con metodo democratico. Cfr. Corte Cost. decr. N. 114 del 1967.

[75] In caso contrario, verrebbe menomato nel suo nucleo essenziale lo stesso principio di sovranità popolare e la libertà del diritto di voto sanciata dall’art. 48 Cost. Inoltre la ratio del divieto posto dall’art. 18 Cost, trova una conferma nellì’obbligo che l’art. 49 Cost. pone ai partiti politici di concorrere con “metodo democratico” a determinare la politica nazionale. Cfr. Rolla G., La tutela costituzionale dei diritti, Milano 2003 p. 75.

[76] Per reati associativi s’intendono quelli previsti dalle norme che stabiliscono un divieto pennale all’istituzione di determinati tipi di associazioni: si tratta, di norme punitive che colpendo i singoli partecipanti per il fatto della loro partecipazione, mirano a colpire l’associazione stessa nella sua esistenza, che non è consentita dall’ordinamento statale. Sono norme che pongono dei limiti penali al diritto di associazione e la cui legittimità è, pertanto, condizionata alla loro compatibilità con la Costituzione. Cfr. Barile P. op. cit. e Palazzo F., Associazioni illecite ed illeciti delle associazioni, in Riv.it.dir.proc.pen., 1976, pp. 418

[77] Si tratta, nell’ottica costituzionale, di un riconoscimento esplicito e avulso da qualsivoglia bisogno di controllo preventivo pur sempre limitato a quelle associazioni che non perseguono scopi illeciti ovvero scopi leciti per mezzo di mezzi che tali non sono. Cfr Sposato T., Il reato di associazione a delinquere:il disordine dell’ordine pubblico, in Il merito, 1 febbraio 2006, n. 2, p. 65 ss.

[78] I reati di scopo sono i delitti di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) di cospirazione politica mediante associazione (art. 305 c.p.), nonché il delitto di banda armata (art. 306 c.p.. Vi rientrano anche il reato di cui all’art. 271 c.p. e il reato di associazione sovversiva (art. 270 c.p.). Cfr. Palazzo F., op cit. e Petta A., Le associazioni anticostituzionali nell’ordinamento italiano, in Giur. Cost. 1973, p. 686 ss.

[79] Per quanto riguarda i reati di struttura e di organizzazione vengono in considerazione le norme che vietano associazioni politiche organizzate militarmente (D.Lgs. 14 febbraio 1948, n. 43; 653 c.p.) e le norme del T.U. di P.S., che stabiliscono obblighi di pubblicità a carico di determinati membri dell’associazione (art. 209). Cfr. Palazzo F., op. cit.

[80] Per quanto i reati d’ideologia l’unica ipotesi prevista è quella della ricostituzione del partito fascista (L. 20 giugno 1952, n. 152), che trova la fonte della sua legittimità costituzionale nella XII Disp. Trans. Cost., con la quale la nostra Carta fondamentale, a differenze di altre costituzioni, quale quella di Bonn (art. 21), ha posto in via eccezionale, l’unico limite ideologico al diritto di associazione. Cfr. Barile, De Servio A., Sanzioni contro il fascismo e il neofascismo, in Noviss. Dig. It., vol. XVI, Torino 1969, p. 561 ss.

[81] Sull’illecito penale collettivo in generale, ma sotto un profilo prevalentemente classificatorio di tipo terminologico e non contenutistico, v. Cicala A., Teoria del fatto illecito penale collettivo, Roma 1942, p. 44 ss., il quale comprende nella categoria dei precetti collettivi sia tutte le norme (con efficacia costitutiva, modificativa o estintiva) relative alle ipotesi di concorso necessario (precetti collettivi tipici) sia tutte le norme (costitutive, modificative, estintive) relative al concorso eventuale (precetti collettivi atipici)

[82] Ed anzi, parte della dottrina, ha ritenuto l’accordo tra più soggetti diretto alla realizzazione di un progetto criminoso sufficiente ad integrare il reato associativo, che costituirebbe quindi un’eccezione al principio generale della non punibilità del mero accordo (non seguito dalla commissione di un reato) previsto dall’art. 115 c.p. Cfr. Grispigni F. Diritto processuale penale, Milano 1942 p.231. A contrario è stato rilevato che l’associazione possa esaurirsi nell’accordo deve essere decisamente respinta. È lo stesso codice che impone tale conclusione distinguendo i due concetti negli artt. 304 e 305. Se accanto al reato di cospirazione politica mediante accordo, la legge ha previsto e punito con pene più gravi quello di cospirazione politica mediante associazione evidentemente associarsi per commettere un reato è qualcosa di più grave e di diverso rispetto al semplice accordo per commettere quello stessi reato. La diversità è confermata dalla constatazione per espressa previsione

 [83] Vale la pena di ricordare, in primo luogo, l’effettivo significato da attribuire alla cd. affectio societatis scelerum , definita come la consapevolezza del soggetto di avere assunto un vincolo associativo criminale destinato a permanere anche al di là degli accordi particolari finalizzati alla realizzazione dei singoli episodi delittuosi ed in cui costante giurisprudenza di legittimità individua l’elemento soggettivo del reato (in tal senso, senza spirito di esaustività, Cass., Sez I, sentenza n. 1332/1991; Cass., Sez. V, sentenza n. 2543/1993; Cass., Sez. VI, sentenza n. 11446/1994). Ancora, la differenza intercorrente fra il delitto di associazione per delinquere ed il mero concorso di persone nei delitti di scopo ed unanimemente individuata in parte nel carattere di permanenza dell’organizzazione criminosa di cui all’art. 416 c.p. ed in parte nell’indeterminatezza del programma criminale a cui può essere diretto un concorso di persone e che, invece, è strutturalmente assente nell’associazione per delinquere ( ex pluribus , Cass., Sez. I, 3402/1992; Cass., Sez. I, sentenza n. 3340/1999). Da ultimo, poi, la possibilità o meno di configurare il tentativo, che viene negata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, pur contestata da isolate correnti giurisprudenziali, sulla base della considerazione che l’associazione per delinquere, in quanto reato di pericolo, si perfeziona già con la sola creazione del vincolo associativo.

[84] In tal senso, senza spirito di esaustività, Cass., Sez I, sentenza n. 1332/1991; Cass., Sez. V, sentenza n. 2543/1993; Cass., Sez. VI, sentenza n. 11446/1994.

[85] Ex pluribus , Cass., Sez. I, 3402/1992; Cass., Sez. I, sentenza n. 3340/1999.

[86] In tal senso, v. fra gli altri Antolisei F. Manuale di diritto penale parte speciale , Milano, 1997; Fiandaca F., Criminalità organizzata e controllo penale , in Indice pen ., 1991, pag. 5; Marini F., Ordine pubblico (delitti contro) , in Novissimo Digesto Italiano, Appendice , 1984, V, pag. 569.

[87] In tal senso, v., fra gli altri, De vero A., Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi , in Riv. It ., 1994, pag. 1266; Fiandaca F., op. cit .; Ferrajoli A., Ordine pubblico e legislazione eccezionale , in Questione criminale , 1977, pag. 361.

[88] V., in tal senso, Corso F., Ordine pubblico , in Encicl. Dir , XXX, 1980; PALADIN, Ordine Pubblico , in Novissimo Digesto Ital ., XII, 1965, pag. 130.

[89] La libertà di manifestazione del pensiero (art. 21, primo comma, Cost.), trova i suoi limiti non soltanto nella tutela del buon costume, ma altresì nell’esigenza di prevenire e far cessare turbamenti della sicurezza pubblica, la cui tutela, costituzionalmente rilevante, costituisce una finalità immanente del sistema (sentenze nn. 19 del 1962; 87 del 1966; 84 del 1969). C.cost., sentenza 4 maggio 1970, n. 65. Nella dizione istigazione “all’odio fra le classi sociali” non possono comprendersi i casi di propaganda e apologia sovversiva e antinazionale contemplati nel primo comma dell’art. 272 c.p. aventi quale oggetto l’instaurazione violenta della dittatura di una classe soc iale sulle altre; la soppressione violenta di una classe sociale; il sovvertimento violento degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato; la propaganda per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società, comma questo che la Corte con la sentenza n. 87/1966 ha ritenuto costituzionalmente legittimo.Né nella medesima dizione può comprendersi l’istigazione a commettere reati, prevista e repressa da ll’art. 414 c.p., in relazione al quale la relativa questione di legittimità è stata dichiarata infondata con sentenza n. 65/1970. C.cost., sentenza 23 aprile 1974, n. 108.

[90] L’accezione tradizionale è quella che intende l’ordine pubblico in senso “materiale” cioè come buon assetto e regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono nella collettività l’opinione ed il senso della tranquillità. L’accezione minoritaria, invece, sostiene una nozione di ordine pubblico per così dire “ideale” che consiste nell’insieme dei principi e delle norme che si pongono alla base dell’ordinamento civile e della sua sopravvivenza.

[91] De Vero A.,, I reati associativi  nell’odierno sistema penale , in Riv. It. Dir. Proc. Pen ., 1998, pag. 391.

[92] Coppi F., Reato permanente , in Dig. Disc. Pen ., IX, Torino 1996, pagg. 322 ss.

[93] Così Seminara A., , Gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 416 bis c. p., in AA.VV., I delitti di criminalità organizzata, vol. I, Quaderni del CSM n. 99/1998, pag. 314.

[94] Così Cass., Sez. I, sentenza 23 novembre 2000 – 2 aprile 2001, n. 12907, in Cass. Pen ., 2002, pag. 1392.

[95] Questa prospettiva per un verso incentiva la dissociazione del reo e la collaborazione con l’autorità giudiziaria per segnalare il proprio evidente distacco dal sodalizio e per bloccare le sue ulteriori attività; per altro verso pone una serie di altri problemi nei confronti di quei soggetti che non intendono battere la strada della dissociazione. La prima questione è l’individuazione dei limiti cronologici del fatto in relazione ad un reato indefinitamente permanente. Se la scoperta dell’affiliazione ad un’associazione mafiosa, l’arresto dell’associato e l’instaurazione di un processo a suo carico non valgono, come si è visto, ad interrompere la consumazione del reato, nel giudizio viene allora dedotta la cognizione di un fatto in itinere. Pur optando oramai unanimemente la giurisprudenza per una visione unitaria del reato permanente, essa ha valutato sul versante procedurale i profili attinenti il principio del ne bis in idem e le esigenze sanzionatorie a carattere general-preventivo.Se la condotta di partecipazione dovesse considerarsi un fatto unico, dopo la condanna l’affiliato potrebbe continuare a fornire contributi fattivi all’associazione senza che il suo comportamento possa essere più perseguito in forza del disposto di cui all’art. 649 c. p.p.; la sentenza così produrrebbe un intollerabile effetto ultrattivo legittimando la prosecuzione della condotta delittuosa e creando una condizione di grave sfavore per chi abbia reciso – prima di essere giudicato – i suoi vincoli col sodalizio criminoso: questi subirebbe lo stesso trattamento sanzionatorio di chi di fatto non desiste dall’attività delittuosa e chi non intende desistere dall’attività delittuosa grazie alla pena inflittagli non sarebbe dissuaso dal suo ulteriore proposito criminoso ma anzi vi sarebbe incentivato dalla prospettiva di futura impunità. La soluzione proposta dalla giurisprudenza supera tutti questi inconvenienti: la condotta delittuosa che un giudizio può sanzionare è quella che viene dedotta e conosciuta nel processo. In presenza di una contestazione relativa ad un reato permanente la sentenza che ne accerta gli elementi costituivi e la protrazione nel tempo ne interrompe il corso al momento in cui essa viene emessa; e ciò proprio perché fino a quel momento vengono accertati il fatto e la sua protrazione. Quanto avverrà in un momento successivo non potrà più essere considerato il medesimo fatto oggetto del processo concluso in primo grado, ma un fatto diverso e sarà suscettibile di altro accertamento. Cfr. Tona G., La condotta dell’associato del mafioso: tra permanenza, reiterazione e continuazione, in Il merito 1 dicembre 2004, n. 12, p. 50 ss.

[96] Cfr, ad esempio, Cass., Sez. V, sentenza 25 gennaio 2000 – 9 marzo 2000, Battaglia CED 216498 e Cass., Sez. VI, sentenza 27 settembre 1999 – 15 ottobre 1999, n. 2960, in CED Cass . RV 214555, con riferimento al rapporto tra partecipazione al sodalizio mafioso ed esecuzione di omicidi di interesse dell’associazione

[97] Cass., Sez. I, sentenza 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, n. 3834, in CED Cass . RV, 218397.

[98] Cass., Sez. VI, sentenza 2 aprile 1997 – 14 maggio 1997, n. 1474, in CED Cass . RV 208916, dove si afferma che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reato-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale ma nei termini di questio facti la cui soluzione va rimessa all’apprezzamento del giudice. In questo senso autorevolmente Coppi F., Reato continuato , in Dig. Disc. Pen ., Vol. IX, Torino 1996, pag. 234.

[99] Sul punto anche Cass., Sez. I, 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, n. 6522, in Cass. Pen ., 2001, pag. 2713.

[100] Cfr . Trib. Napoli, Sez. riesame, 4 dicembre 2002, Pinto, in Giur. Merito , 2003, pagg. 1490 ss., con nota di Romano A., L’applicazione dell’art. 297, comma 3 c. p.p. è possibile anche ai reati di associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacente, quando tra gli stessi vi sia connessione .

[101] Cass, Sez. V, sentenza 21 ottobre 1996 – 20 dicembre 1996, n. 10930, in CED Cass . RV 206539, che riprende i principi già affermati sull’irrilevanza del solo stile di vita per la dimostrazione dell’unicità del disegno criminoso: cfr . Cass., Sez. I, sentenza 30 settembre 1998 – 14 ottobre 1998, in Dir. Pen. Proc ., n. 12/1998, pag. 1481.

[102] Si è dunque affermato che il vincolo della continuazione non è incompatibile con la commissione di reati permanenti la cui consumazione sia frammentata da eventi interruttivi costituiti da fasi di detenzione o da condanne. Cfr. Tona G., op. cit.

[103] Cass., Sez. VI, sentenza 13 marzo 1997 – 1° ottobre 1997, n. 8851, in CED Cass . Rv 209118.

[104] Sica V., Le associazioni nella costituzione italiana, Napoli 1957.

[105] La previsione di cui all’art. 306 c.p. colpisce una forma associativa, di per sé, senza porsi in contrasto con l’art. 18 Cost., in quanto la libertà di associazione del privato collide con l’interesse della collettività sia per i mezzi che per il fine, integrando una fattispecie delittuosa già solo per il pericolo incombente a cagione di un tale tipo di associazione armata volta ad aggredire la personalità dello Stato a prescindere dalla realizzazione di tale aggressione. Sez. I 85/171787. La banda armata nelle sue distinte ipotesi previste dal 1° e dal 2° comma dell’art. 306 c.p., rientra nel più vasto fenomeno associativo criminoso contro la personalità dello Stato e richiede, oltre la stabilità di un vincolo associativo tra una pluralità di consociati proteso al conseguimento dello scopo comune di commettere uno o più delitti non colposi contro la personalità internazionale o interna, dello Stato, l’organizzazione in banda e la disponibilità di armi, quali elementi specializzanti. Sez. I 88/180286.

[106] Il delitto di cui all’art. 270 bis c.p. va inserito nella categoria dei reati di pericolo e postula soltanto l’esistenza  di un’associazione che abbia il fine dell’eversione dell’ordine democratico con il compimento di atti di violenza (sez. II 85/169747 v. anche sez I 88/178586 per cui i delitti di cui agli artt. 270 e 270 c.p. sono formali di pericolo presunto iuris et de iure) v. anche sez. I 00/216253 per cui il reato di cui all’art. 270 bis c.p. è un reato di pericolo presunto per la cui configurabilità occorre tuttavia l’esistenza di una struttura organizzata , con un programma comune tra i partecipanti finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di consumazione e di atti di violenza. Ne consegue che la semplice idea  sovversiva non accompagnata da propositi concreti ed attuali di violenza, non vale a realizzare il reato, ricevendo tutela proprio dall’assetto costituzionale dello Stato che essa contraddittoriamente mira a travolgere.

[107] Cian G., Trabucchi A., Commentario breve al codice penale, Padova 2004.

[108] Vassalli G., Propaganda sovversiva e sentimento nazionale, in Giur. Cost. 1966, 1100 ss. e Cheli E., Libertà di associazione e poteri di polizia: profili storici, in La pubblica sicurezza, a cura di P. Barile, Vicenza 1967, p. 272 ss.

[109] Volpe Putzolu A., Le associazioni tra codice e Costituzione, in Riv. civ. 1973, I, p. 307 ss.

[110] E’ previsto invece il delitto di propaganda ed apologia sovversiva (art. 272 c.p.) che deve pur sempre avere ad oggetto la soppressione o il sovvertimento violento ecc. Un forte argomento contro la legittimità dell’art. 270 c.p. è sicuramente l’affermata incostituzionalità del reato-scopo di propaganda ed apologia sovversiva (v. Amato C., Libertà di pensiero e propagamda sovversiva, in Dem e dir. 1966, p. 487 ss. Fiore A., I reati di opinione, Padova 1972, p. 95 ss. Mantovani A., I reati di opinione, Firenze 1971.

[111] Petta  P., Le associazioni anticostituzionali nell’ordinamento italiano, in Giur. Cost, 1973, p. 667 ss.

[112] Barile P., Associazione (diritto di), 1959, Scritti di diritto costituzionale, Padova 1967, p. 328 ss.

[113] Mazziotti M., Lezioni di diritto costituzioanle, Milano 1985, p. 280 ss.

[114] Nuovolone P., Le leggi penali e la Costituzione, Milano 1953, p. 52 ss.

[115] Petta P., I reati associativi e i giudici del 7 aprile, in Crit. Dir. nn. 23-24, 1982, p. 103 ss.

[116] Nuvolone A., Le leggi penali e la Costituzione, Milano 1955, p. 52 ss.

[117] Antolisei F., op. cit. p. 648 ss., Maggiore C., Diritto penale, Bologna 1950, p. 361 ss.

[118] A questo proposito sono estremamente significative le parole del Guardasigilli (LAV. PREP., Relazione del Guardasigillial prog. Def. Vol. V, p. 50 ss.); “Tra le associazioni politiche il Progetto prevede in questo capo, soltanto quelle che limitano la loro attività alla diffusione delle idee, cioè all’affermazione teorica dei loro obiettivi politici, che costituiscono il loro programma”. Per simili considerazioni realtive cioè al requisito dell’offensività del reato, anche se con riferimento al delitto di cui all’art. 272 c.p. v. Zuccalà A., Personalità dello Stato, ordine pubblico e tutela della libertà di pensiero, in Legge penale e libertà di pensiero, Padova 1966, p.94 ss.

[119] Per quest’ultimo profilo, v. Petta A., op. cit. p. 706 ss.

[120] Sul significato del metodo democratico v. Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1991, p. 804 ss. e Volpe Putzolu A., Le associazioni tra codice e Costituzione, in Riv. civ. 1973, I, p. 307.

[121] Fiore C., I reati di opinione ,  Padova  1972.

[122] La lacuna sanzionatoria è rilevata da Barile P., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1972, p. 371 ss.

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